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16
giugno
Il topiramato migliora la neuropatia
periferica e la sindrome metabolica
16 giugno 2003 (Medscape) - Il Dott.
Vinik (Norfolk, Virginia, USA) ha
presentato i risultati di un piccolo
studio pilota condotto con l'anticonvulsivante
topiramato su 11 pazienti affetti
da neuropatia diabetica periferica.
L'utilizzo della molecola a dosi gradualmente
crescenti (fino a 100 mg/die) per
un periodo di circa 4 mesi ha consentito
di ottenere non solo l'attenuazione
della sintomatologia legata alla neuropatia
e il miglioramento di alcuni indici
oggettivi della funzionalità
nervosa, ma anche di ridurre - nei
pazienti analizzati - la colesterolemia
totale (10%), la glicemia e la pressione
arteriosa diastolica (10%), inducendo
inoltre un significativo calo ponderale.
Tali risultati indicherebbero che
il trattamento è in grado di
agire direttamente sulle basi biologiche
della patologia, piuttosto che trattarne
i sintomi. Eugene Barrett, presidente
entrante dell'ADA, pur ritenendo tali
dati estremamente interessanti, ha
invitato alla prudenza riguardo alle
conclusioni sul miglioramento dell'insulino-resistenza,
dato il piccolo campione di pazienti
esaminato.
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Il rosiglitazone riduce il
rischio di ristenosi nei pazienti
diabetici
16 giugno 2003 (Medscape) - Uno studio
condotto da ricercatori coreani su
73 pazienti diabetici sottoposti a
intervento di stenting indica che,
al follow-up a 6 mesi, il rischio
di ristenosi dello stent è
sensibilmente inferiore nei pazienti
ai quali è stato aggiunto rosiglitazone
alla terapia ipoglicemizzante convenzionale
(11,4% vs. 44,7%). Nel gruppo trattato
con rosiglitazone si sono osservati
livelli plasmatici significativamente
inferiori di proteina c-reattiva,
rispetto al placebo, lasciando ipotizzare
che l'effetto della molecola possa
essere determinato da un'interferenza
sul processo infiammatorio alla base
della ristenosi. I risultati sono
particolarmente interessanti, considerando
il fatto che due pazienti diabetici
su tre sviluppano una malattia cardiovascolare,
e che il tasso di ristenosi di uno
stent impiantato in pazienti diabetici
è per lo meno doppio rispetto
alla popolazione generale.
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La dieta e l'esercizio fisico
possono ridurre il rischio CVD nei
pre-diabetici
16 giugno 2003 (Medscape) - Un'analisi
dei dati di follow-up del Diabetes
Prevention Program (DPP) indica che
la dieta e l'esercizio fisico potrebbero
essere più efficaci di un intervento
farmacologico nel ridurre il rischio
cardiovascolare in pazienti con alterata
tolleranza al glucosio. I dati, presentati
da Steven M. Haffner (San Antonio,
Texas, USA), fanno seguito ai risultati
del DPP pubblicati lo scorso anno,
secondo i quali la modificazione dello
stile di vita era in grado di ridurre
del 58% il rischio di sviluppare il
diabete in una popolazione di 3234
persone in sovrappeso, mentre l'assunzione
di metformina riduceva il rischio
del 31%. La nuova analisi indicherebbe
che dieta ed esercizio fisco riducono,
più della metformina, parametri
indiretti della patologia cardiovascolare,
come alcuni indici di flogosi (proteina
c-reattiva, fibrinogeno e TPA). La
modificazione dello stile di vita
sarebbe pertanto in grado di ridurre
non solo il rischio di sviluppare
il diabete, ma anche le sue complicanze.
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Il controllo intensivo precoce
del diabete si associa ad una minore
calcificazione coronarica
16 giugno 2003 (Medscape) - In base
ai dati relativi al follow-up a 7-9
anni dello studio multicentrico Epidemiology
of Diabetes Interventions and Complications
(EDIC) [effettuato con 1150 pazienti
affetti da diabete di tipo 1 prelevati
dalla coorte originaria dello studio
DCCT] un precoce controllo glicemico
intensivo in pazienti affetti da diabete
di tipo 1 è associato ad una
successiva ridotta calcificazione
coronarica e ad una progressione considerevolmente
minore di patologia microvascolare.
I dati raccolti supportano il ruolo
dell'iperglicemia nella patologia
cardiovascolare nel diabete di tipo
1, in maniera simile al suo ruolo
nella patogenesi delle complicanze
microvascolari.
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Il ginseng può aiutare
a controllare la glicemia
16 giugno 2003 (Medscape) - Stando
a quanto suggerito da due studi presentati
da ricercatori dell'Università
di Toronto (Canada), il ginseng rosso
americano e coreano può favorire
la normalizzazione dei livelli di
glucosio nel sangue e migliorare la
secrezione e la sensibilità
insulinica in pazienti affetti da
diabete di tipo 2. I risultati del
primo studio (in doppio cieco, placebo-controllato,
crossover-designed con 30 pazienti
affetti da diabete ben controllato)
indicano che l'aggiunta del ginseng
alla terapia ipoglicemizzante orale
o alla sola dieta può contribuire
a ridurre la glicemia, suggerendone
la complementarietà. Con il
secondo studio, condotto secondo lo
stesso disegno del primo, e che ha
coinvolto 19 pazienti con diabete
ben controllato, si è dimostrato
che il ginseng rosso coreano migliora
la secrezione e la sensibilità
insulinica, con un'interferenza sulla
funzione epatica, renale, sull'emostasi
e sulla pressione sanguigna pari al
placebo. Si tratta di studi preliminari
che necessitano di ulteriori sviluppi,
ma si è suggerito, visto che
3 pazienti su 4 fanno uso di prodotti
erboristici, che i medici dovrebbero
interrogare i propri pazienti diabetici
su tale uso di terapie complementari
per poter eventualmente aggiustare
le dosi dei farmaci standard.
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17
giugno
Il trapianto di pancreas nei
pazienti diabetici rimane controverso
17 giugno 2003 (Medscape) - Con sorpresa
degli stessi ricercatori, i risultati
di un'analisi retrospettiva presentata
dal Dott. Jeffrey M. Venstrom (Nashville,
Tennessee, USA) evidenziano che la
sopravvivenza a lungo termine dei
pazienti diabetici con una funzione
renale normale sottoposti a trapianto
pancreatico sembra essere inferiore
a quella di pazienti nelle stesse
condizioni ancora in lista d'attesa,
in terapia convenzionale. Tali risultati
non deriverebbero dalla pericolosità
intrinseca della procedura di trapianto,
che viceversa ha una bassa mortalità,
ma dall'inaspettatamente alta sopravvivenza
dei pazienti ancora in lista d'attesa.
Secondo questi dati, più dell'80%
dei pazienti diabetici che ricevono
un pancreas nuovo sono insulino-indipendenti
a un anno. Nonostante il numero di
procedure aumenti annualmente, il
trapianto di pancreas nei pazienti
diabetici con funzione renale normale
rimane controverso. Circa il 5% dei
pazienti decede entro l'anno. I ricercatori
hanno confrontato le percentuali di
sopravvivenza a quattro anni di pazienti
sottoposti a trapianto di pancreas
e pazienti ancora in lista d'attesa.
Secondo tale studio, i pazienti sottoposti
a trapianto simultaneo di pancreas
e reni avevano una probabilità
di sopravvivenza maggiore a quattro
anni rispetto a pazienti non sottoposti
a doppio trapianto. Tuttavia, i pazienti
sottoposti unicamente a trapianto
pancreatico avevano una probabilità
di decesso entro quattro anni 2,4
volte superiore rispetto a coloro
ancora in lista d'attesa, mentre quelli
sottoposti a trapianto di pancreas
dopo trapianto di reni avevano un
rischio di mortalità maggiore
del 60% entro i quattro anni successivi
se paragonati ai pazienti in attesa
per la stessa procedura.
Secondo il Dott. Rainer Gruessner
(Minneapolis, Minnesota, USA), moderatore
della sessione, i risultati dello
studio sono ingannevoli perché
danno l'impressione che il trapianto
di pancreas possa essere pericoloso,
mentre "ora possiamo sottoporre
a trapianto i pazienti più
gravi […], la loro qualità
di vita migliora e i pazienti diventano
insulino-indipendenti dopo il trapianto".
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Monitoraggio continuo della
glicemia utile coadiuvante della glicemia
al dito
17 giugno 2003 (Medscape) - Secondo
i risultati di uno studio randomizzato
condotto su 128 pazienti affetti da
diabete di tipo 1, presentati dal
Dott. Bruce W. Bode (Atlanta, Georgia,
USA), gli aggiustamenti della terapia
insulinica basati anche sull'utilizzo
del monitoraggio continuo della glicemia
migliorano il controllo glicemico
con una minore incidenza di ipoglicemie
rispetto agli aggiustamenti basati
sul semplice monitoraggio della glicemia
al dito.
Un sensore del glucosio posto sotto
la cute registrava 288 misurazioni
della glicemia nelle 24 ore fino a
3 giorni, fornendo informazioni 72
volte maggiori rispetto alla puntura
del dito 4 volte al giorno. Dopo 12
settimane, in entrambi i gruppi i
livelli di HbA1c erano notevolmente
diminuiti, ma nel gruppo con monitoraggio
continuo erano ridotte anche la frequenza
(p=0,005) e la durata degli episodi
ipoglicemici (p=0,02). Il sistema
di monitoraggio continuo è
inteso per un utilizzo periodico,
e non quotidiano. Affiancare al metodo
tradizionale di rilevazione della
glicemia occasionali misurazioni continue,
secondo il Dott. Bode, aiuterà
i medici ad operare migliori aggiustamenti
della terapia.
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L'insulina assunta per via
orale non previene lo sviluppo di
diabete nei soggetti a rischio
17 giugno 2003 (Medscape) - Dosi d'insulina
per via orale somministrate a soggetti
con rischio moderato di sviluppare
diabete di tipo 1 [parenti di primo
grado di pazienti ai quali era già
stato diagnosticato un diabete insulino-dipendente]
sembrano non poter ritardare o prevenire
l'insorgenza della patologia, secondo
i risultati del Diabetes Prevention
Trial-Type 1, presentati dal Dott.
Jay Skyler (Miami, Florida, USA).
Due anni fa, i risultati ottenuti
dall'équipe del Dott. Skyler
dimostrarono che insulina iniettiva
era inefficace nella prevenzione del
diabete di tipo 1 in soggetti a rischio
moderato. Lo studio insulina per via
orale verso placebo, condotto su 372
soggetti dai 3 ai 45 anni, ha testato
l'ipotesi che l'insulina così
assunta potesse neutralizzare la distruzione
autoimmune delle cellule beta. Dopo
una media di 4,3 anni, circa il 35%
dei soggetti in entrambi i gruppi
avevano sviluppato diabete di tipo
1. Il Dott.. Skyler non esclude la
possibilità che il fallimento
della terapia possa dipendere dall'utilizzo
di dosi inadeguate.
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Molti pazienti diabetici non
osservano le prescrizioni mediche
17 giugno 2003 (Medscape) - Secondo
i risultati di una revisione sistematica
sulla compliance alla terapia, condotta
e presentata dalla Dott.ssa Joyce
A. Cramer (New Haven, Connecticut,
USA), la percentuale di pazienti affetti
da diabete di tipo 1 o 2 che non segue
gli schemi terapeutici prescritti
è piuttosto alta: in media
i pazienti assumono il 74% dei farmaci
orali loro prescritti, e la compliance
è tanto più ridotta
quanto più è complicato
lo schema terapeutico. La compliance
riferita all'insulina è persino
più bassa di quella ai farmaci
per os, soprattutto tra i pazienti
diabetici più giovani: i pazienti
assumerebbero solo un terzo delle
dosi di insulina prescritte.
Bassi tassi di compliance alla terapia
sono associati a più elevati
livelli di HbA1c e a costi per la
salute pubblica maggiore. Secondo
la Dott.ssa Cramer, sarebbe importante,
soprattutto nei pazienti con diabete
non compensato, utilizzare sistemi
elettronici di monitoraggio dell'assunzione
della terapia (quale il MEMS, Medication
Event Monitorino System, che registra
ogni volta che il paziente apre il
contenitore del farmaco prescrittogli),
per dimostrare al paziente che ha
saltato delle dosi.
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Iniziare una terapia insulinica sembra
aumentare il rischio di scompenso
cardiaco congestizio
17 giugno 2003 (Medscape) - I dati
di uno studio osservazionale, condotto
dal Dott. Gregory A. Nichols (Portland,
Oregon, USA) e colleghi, suggeriscono
che l'inizio di una terapia anti-iperglicemica
si associ a una maggior incidenza
di scompenso cardiaco congestizio
(CHF). Secondo tale studio, che ha
confrontato i tassi d'insorgenza di
CHF in concomitanza all'inizio di
terapia con sulfonilurea, metformina
o insulina, singolarmente o in combinazione,
in 4356 pazienti diabetici senza una
precedente storia di CHF, la terapia
insulinica può aumentare la
ritenzione di liquidi, e quindi contribuire
allo sviluppo di CHF. Il follow-up
medio di 22 mesi ha registrato 195
casi di CHF soprattutto tra i soggetti
ai quali era stata somministrata insulina,
da sola o in combinazione con sulfonilurea
o metformina, risultato che ha sorpreso
lo stesso Dott. Nichols. Il quale
ha sottolineato anche il possibile
ruolo protettivo della metformina,
nonostante non se ne conosca l'esatta
ragione.
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Un nuovo agente derivato dal veleno
aiuta a controllare i livelli glicemici
17 giugno 2003 (Medscape) - L'exenatide,
un nuovo farmaco sperimentale derivato
dal veleno di una lucertola velenosa,
può favorire il controllo dei
livelli glicemici in pazienti affetti
da diabete di tipo 2 non controllati
dalla terapia orale. L'efficacia dell'exenatide
sulla riduzione dell'HbA1c è
stata dimostrata da uno studio open-label
in fase III, presentato dal Dott.
Alain Baron (San Diego, California,
USA) e realizzato su 63 pazienti,
che durante le 24 settimane di durata
dello studio hanno perso inoltre una
media di 1,8 kg. "L'unico altro
agente ad efficacia equivalente, l'insulina",
ha detto, "è associato
ad aumento ponderale e ad un maggior
rischio di ipoglicemie.
L'exenatide, capostipite di una nuova
classe di agenti conosciuta come farmaci
basati sul glucagon-like peptide-1,
aumenta la secrezione di insulina
dalle cellule beta pancreatiche su
richiesta, quindi solo quando i livelli
di glicemia sono elevati, non accrescendo
il rischio di ipoglicemie; inoltre,
essendo somministrata a dosi fisse,
non necessita di aggiustamenti posologici
legati al cibo assunto e al consumo
calorico durante la giornata.
I medici presenti al meeting hanno
espresso entusiasmo riguardo le potenzialità
del farmaco nella gestione dei pazienti
diabetici di difficile compenso, e
il Dott. Barrett, presidente entrante
dell'ADA, ha affermato che l'exenatide
è una delle novità più
interessanti presentate al convegno
di quest'anno. Unico inconveniente
dell'exenatide è che può
essere somministrato unicamente per
via iniettiva. Questo farmaco, oltre
a migliorare la secrezione insulinica,
sopprime la secrezione inappropriatamente
elevata di glucagone e rallenta la
velocità di svuotamento gastrico.
L'effetto collaterale più frequente,
manifestatosi nel 27% dei pazienti
dello studio, è stata la nausea,
da media a moderata, che peraltro
scompare nel tempo. Il farmaco pare
sicuro e ad azione prolungata. A Parigi,
durante l'International Diabetes Federation
Congress che si terrà a fine
agosto, saranno presentati i risultati
preliminari di diversi studi in fase
III di exenatide verso placebo.
La società produttrice prevede
di proporre il farmaco alla FDA nel
2004; l'exenatide sarà disponibile
in una penna lunga 88 mm con un ago
da 31G, con una dose sufficiente per
un mese di trattamento.
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Un vaccino rallenta la progressione
del diabete di tipo 1
17 giugno 2003 (Medscape) - I risultati
preliminari di uno studio clinico,
condotto su 47 adulti con recente
diagnosi di diabete di tipo 1 a insorgenza
tardiva e presentati dal Dott. Daniel
Kaufman (Los Angeles, California,
USA), indicano che un vaccino sperimentale
basato sull'antigene GAD (glutammato-decarbossilasi),
e mirante ad indurre tolleranza immunologica,
potrebbe essere in grado di arrestare
la progressione del diabete di tipo
1.
Il vaccino, iniettato a 4 differenti
dosi fino a 3 volte in un periodo
di 6 mesi, ha prolungato nei pazienti
la capacità residua di produrre
insulina, rispetto al placebo, senza
manifestare effetti collaterali. Secondo
gli autori, l'efficacia potrebbe essere
superiore nei pazienti giovani, con
patologia non ancora in fase avanzata.
I ricercatori della University of
California, Los Angeles, dopo aver
scoperto che il target autoimmune
nei pazienti affetti da diabete di
tipo 1 potesse essere il GAD delle
cellule pancreatiche produttrici di
insulina, avevano sviluppato un test
diagnostico che individua i soggetti
che stanno sviluppando un diabete
di tipo 1 basandosi sulla concentrazione
degli autoanticorpi ematici anti-GAD.
Ci si aspetta di poter utilizzare
il vaccino anche per evitare che pazienti
affetti da diabete di tipo 2 possano
diventare insulino-dipendenti, per
la prevenzione dell'insulino-dipendenza
nei bambini a rischio e per migliorare
la sopravvivenza delle cellule produttrici
di insulina successivamente a trapianto.
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Prosegue la prescrizione inappropriata
di metformina in pazienti ospedalizzati
17 giugno 2003 (Medscape) - Il Dott.
Peter Dumo (Detroit, Michigan, USA)
ha presentato i risultati di uno studio
retrospettivo che ha analizzato le
cartelle cliniche di 314 pazienti
ospedalizzati ai quali era stata prescritta
metformina. Nel 44% dei casi era presente
una controindicazione all'impiego
del farmaco (più spesso uno
scompenso cardiaco congestizio o insufficienza
renale), che ha posto tali pazienti
maggiormente a rischio di sviluppo
di acidosi lattica. Nel 32% dei casi,
inoltre, pazienti con una controindicazione
all'uso della metformina sono stati
dimessi con l'indicazione al suo impiego.
Il Dott. Dumo non si è detto
favorevole all'eliminazione della
metformina dagli ospedali, ma ha sottolineato
la necessità di una maggior
informazione tra il personale medico
per garantire un uso sicuro ed efficace
del farmaco nei pazienti ricoverati.
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