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June 13 - 17, 2003, New Orleans, Louisiana


 
Diabete e patologia cardiovascolare
Anne Peters Harmel, MD
 
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Introduzione


I pazienti affetti da diabete hanno un rischio decisamente aumentato di patologia macrovascolare. Un soggetto diabetico e privo di patologia cardiovascolare nota (CVD) ha un rischio pari a quello di un soggetto non diabetico che abbia già presentato un evento cardiovascolare [1]. A causa di tale rischio elevato, il diabete è considerato equivalente a una patologia cardiovascolare nelle linee-guida del National Cholesterol Education Panel (NCEP) Adult Treatment Panel (ATP) III - quindi, un soggetto diabetico ha lo stesso rischio e la stessa necessità di trattamento di un individuo che tradizionalmente sarebbe stato considerato in una categoria di "prevenzione secondaria"[2]. Inoltre, o forse come parte di tale elevato rischio CVD, i pazienti diabetici e pre-diabetici spesso presentano la sindrome metabolica. Sindrome, questa, che aumenta considerevolmente il rischio CVD [3].

La sindrome metabolica rappresenta un'area della ricerca clinica e di base, nonché dell'assistenza clinica, di recente definizione e in rapida evoluzione
[2,4,5,6]. Molti aspetti della sindrome metabolica devono ancora essere complessivamente definiti, e tutte le interrelazioni (in particolare quella con la resistenza insulinica) non sono ancora state pienamente comprese[7]. Probabilmente la caratteristica principale sia della sindrome metabolica sia della sindrome da resistenza insulinica è la comprensione del fatto che queste alterazioni sono utili all'identificazione dei pazienti a rischio significativo sia CVD, sia di diabete di tipo 2. Tra le caratteristiche della sindrome metabolica che sembrano aumentare il rischio CVD vi sono l'obesità centrale, la dislipidemia, l'ipertensione, l'ipercoagulabilità,[8] l'infiammazione di basso grado[9,10]. e un'abnorme reattività
vascolare
[11].

La sindrome metabolica è stata descritta da moltissimi ricercatori, per molti anni. Già negli anni '20 del secolo trascorso il medico e ricercatore svedese Eskil Kylin descrisse un disturbo caratterizzato dalla presenza di ipertensione, iperglicemia e iperuricemia
[12]. Più recentemente il Dott. Gerald Reaven e coll., insieme ad altri ricercatori, descrissero in dettaglio le caratteristiche di quella che attualmente viene definita "sindrome metabolica" o "sindrome X"[13,14]. Questi autori sono stati tra i primi a suggerire la relazione con il disturbo generalizzato della resistenza insulinica. Aumentando la consapevolezza del significativo rischio CVD associato a questo disturbo [15,16], definizioni formali della sindrome metabolica sono state proposte da diverse organizzazioni, tra le quali la World Health Organization (WHO), il National Cholesterol Education Program (NCEP), e l'American Association of Clinical Endocrinologists (AACE). Forse la definizione maggiormente utilizzata è quella presentata nel NCEP ATP-III (Tabella 1), che fornisce una serie di criteri clinicamente mirati a identificare i soggetti ad alto rischio. Questi criteri descrivono la sindrome metabolica come "un insieme di fattori di rischio CVD lipidici e non lipidici di origine metabolica… strettamente relati a un disturbo metabolico generalizzato [di] resistenza insulinica".

Tabella 1. Definizioni WHO e NCEP ATP-III della sindrome metabolica


Caratteristiche WHO NCEP ATP-III
Ipertensione Terapia anti-ipertensiva in atto e/o PA>140/90 Farmaci per l'ipertensione arteriosa o PA >130/85
Dislipidemia Trigliceridi plasmatici > 1,7 mmol/l (150 mg/dl) e/o HDL<0,9 mmol/l (35 mg/dl) negli uomini e <1,0 mmol/l (<40 mg/dl) nelle donne Trigliceridi plasmatici >150 mg/dl, colesterolo HDL<40 mg/dl negli uomini e <50 mg/dl nelle donne
Obesità BMI >30 e/o circonferenza vita/fianchi (WHR) >0,90 negli uomini, >0,85 nelle donne Circonferenza vita >40 cm negli uomini e >50 cm nelle donne
Glucosio Diabete di tipo 2 o IGT Glicemia a digiuno >110 mg/dl
Altro Microalbuminuria = tasso di escrezione notturna di albumina nelle urine >20 mcg/min (30 mg/g creat.)  
Condizioni per la diagnosi Diabete di tipo 2 o IGT e 2 qualsiasi dei criteri sopracitati. In caso di normale tolleranza al glucosio, devono essere dimostrati 3 altri disturbi 3 qualsiasi dei disturbi sopracitati

  BMI, indice di massa corporea; PA, pressione arteriosa; HDL, lipoproteina ad alta densità; IGT, alterata intolleranza al glucosio; NCEP ATP-III, National Cholesterol Education Program - Adult Treatment Panel III; WHO, World Health Organization [Organizzazione Mondiale della Sanità]  

La sindrome metabolica sta diventando sempre più comune. In un recente rapporto derivato dalla banca dati del National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES-III) è stata valutata la prevalenza della sindrome nella popolazione statunitense utilizzando le linee-guida ATP-III. Rifacendosi a tali criteri, la prevalenza aggiustata per età della sindrome metabolica tra i soggetti adulti statunitensi è stata stimata del 23,7% [17]. Le percentuali erano simili negli uomini e nelle donne, e aumentavano con l'età. Tra i gruppi specifici di popolazione, gli americani messicani hanno presentato la prevalenza maggiore, aggiustata per età, della sindrome (31,9%). Sulla base degli attuali dati del censimento, si stima che probabilmente 47 milioni di persone che vivono negli Stati Uniti soffrano di sindrome metabolica. Tali pazienti devono essere identificati e trattati, sia per ridurre il loro rischio CVD, sia per ridurre il rischio di progressione verso il diabete di tipo 2.

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Lipidi


La dislipidemia diabetica classica è caratterizzata da elevati livelli di trigliceridi e da un basso livello di colesterolo HDL (che solitamente è associato ad un aumento delle LDL piccole e dense, più aterogene della frazione di LDL più grandi)
[18]. Inoltre, i pazienti possono presentare livelli di colesterolo LDL lievemente aumentati (e in pazienti diabetici un livello di colesterolo LDL superiore ai 100 mg/dl è considerato elevato). Complessivamente, l'evidenza che ritiene un fattore di rischio i livelli elevati di colesterolo è molto forte. I risultati di trial clinici su vasta scala[19-23] hanno dimostrato in maniera significativa il beneficio della terapia volta a ridurre le LDL nella prevenzione e nel trattamento della patologia cardiovascolare (CHD), e sono stati compresi nel più recente report, l'ATP III. Dati simili sono confluiti nello sviluppo di linee-guida per la gestione della dislipidemia da parte dell'ADA[24].

Tutti i pazienti affetti da diabete dovrebbero essere sottoposti annualmente a un profilo lipidico a digiuno, che consiste nella determinazione della colesterolemia totale e HDL e della trigliceridemia. La Tabella 2 fornisce gli obiettivi ADA per i lipidi nei soggetti diabetici. Il profilo lipidico andrebbe ripetuto fino al raggiungimento del target da parte del paziente. I pazienti andrebbero incoraggiati a proseguire nel tempo l'assunzione di farmaci per ridurre i lipidi, e andrebbe sottolineata la necessità di un continuo miglioramento al fine di ridurre il rischio CVD.

Tabella 2. Obiettivi ADA per i lipidi[47]

Lipidi Target
LDL <100 mg/dl (<2,6 mmol/l)
Trigliceridi* <150 mg/dl (<1,7 mmol/l
HDL >40 mg/dl (>1,1 mmol/l)†

 
*Le attuali linee-guida NCEP ATP-III suggeriscono che in pazienti con trigliceridi >/=200 mg/dl si utilizzi il "colesterolo non HDL " (colesterolo totale meno l'HDL). L'obiettivo è </=130 mg/dl.
† Per le donne è stato suggerito che l'obiettivo per l'HDL venga aumentato di 10 mg/dl.
 


Numerosi studi forniscono l'evidenza dei benefici della riduzione dei lipidi nei pazienti diabetici. L'Heart Protection Study (HPS)
[25] merita una menzione speciale. In questo studio, pazienti diabetici trattati con statine avevano presentato una riduzione del rischio cardiovascolare indipendentemente dal loro livello iniziale di colesterolo LDL. Sembra quindi che la maggior parte dei pazienti diabetici, soprattutto quelli affetti da diabete di tipo 2, benefici della terapia con statine. Tra le altre importanti terapie per la riduzione del rischio CVD nei pazienti affetti da diabete e/o sindrome metabolica[26] vi sono l'aspirina[27] e il meticoloso controllo dell'ipertensione con inibitori dell'enzima di conversione dell'angiotensina[28] o antagonisti del recettore dell'angiotensina.

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Update dal Meeting ADA


Prevenzione

La prevenzione della patologia cardiovascolare è di primaria importanza, poiché un numero sempre maggiore di soggetti è a rischio per le crescenti percentuali di obesità, pre-diabete, sindrome metabolica e diabete. Il Diabetes Prevention Program (DPP)
[29] ha dimostrato che il cambiamento di stile di vita e la metformina possono ridurre le percentuali di sviluppo di diabete di tipo 2. Lo studio non ha potuto valutare gli outcome CVD, perché le percentuali di eventi CVD non differivano nei due gruppi (come ci si attendeva), ma si è verificata un'importante riduzione della pressione arteriosa sistolica e diastolica e dei trigliceridi[30].

Il Dott. Steven Haffner, dell'Health Science Center dell'Università del Texas di San Antonio (USA), ha presentato i dati del DPP che valutavano gli effetti dello stile di vita e della metformina sui marker infiammatori non tradizionali associati al rischio CVD
[31]. Egli ha scoperto che sia il cambiamento dello stile di vita sia la metformina riducevano significativamente i livelli di proteina C-reattiva e dell'attivatore tissutale del plasminogeno. Solo il cambiamento dello stile di vita riduceva i livelli di fibrinogeno. Complessivamente, le modificazioni dello stile di vita erano più efficaci della metformina nella riduzione delle percentuali di tali marker.

In ultimo, è stato valutato il rischio di sviluppare la sindrome metabolica.
[32] Utilizzando la definizione di sindrome metabolica del NCEP ATP III, gli interventi sullo stile di vita hanno ridotto l'incidenza della sindrome metabolica del 41% (p<0,0001) vs. placebo, mentre la metformina del 17% (p<0,04) vs. placebo, nei soggetti del trial che non presentavano sindrome metabolica al momento dell'inizio dello studio (il 47% dei soggetti studiati).

Diagnosi

Lo studio DIAD [Detection of Ischemia in Aysmptomatic Diabetes] è il primo trial prospettico disegnato per determinare la prevalenza di ischemia miocardica silente in pazienti affetti da diabete di tipo 2
[33]. Tale studio ha arruolato 1124 pazienti tra i 50 e i 75 anni di età senza anamnesi di coronaropatia (CAD) e con ECG normale all'inizio dello studio. Metà dei soggetti è stata randomizzata per essere sottoposta a tomografia ad emissione di fotone singolo con adenosina-Tc99m-Sestamibi (AdSPECT), e metà a solo follow-up. Complessivamente, 83 delle 113 indagini AdSPECT anormali mostrarono difetti di perfusione, 29 dei quali quantificati come moderati o ampi. Gli autori hanno concluso che le anomalie indicative di ischemia miocardica silente si presentano in un paziente affetto da diabete di tipo 2 ogni 5 pazienti asintomatici, e uno ogni 18 pazienti presenta una anomalia di perfusione maggiore che può richiedere un'ulteriore valutazione.

Un altro studio ha analizzato i marker di patologia cardiovascolare subclinica in un gruppo multietnico di pazienti affetti da IGT e diabete
[34]. Sono stati studiati in tutto 6811 soggetti: 2612 bianchi, 1902 afroamericani, 1497 ispanici e 600 cinesi. 5122 presentavano una tolleranza al glucosio normale, 587 erano affetti da IGT, e 1102 soffrivano di diabete di tipo 2. Tutte le misurazioni, comprese quelle delle calcificazioni coronariche con la TAC, dello spessore intima-media della parete della carotide comune e della carotide interna con gli ultrasuoni, e dell'indice pressorio caviglia/braccio, hanno mostrato un accresciuto rischio CVD nei pazienti affetti da IGT e diabete di tipo 2. I pazienti con IGT dovrebbero quindi essere valutati e trattati per il loro aumento di rischio CVD.

Trattamento delle dislipidemie

Sono stati presentati due studi sulla valutazione degli effetti dell'ezetimibe, un inibitore dell'assorbimento del colesterolo. In uno studio
[35], l'aggiunta di ezetimibe alla terapia a base di statine, in pazienti diabetici e non, ha portato ad un ulteriore abbassamento del colesterolo LDL dal 24 al 27%. In un altro studio[36] in pazienti affetti da sindrome metabolica che non raggiungevano il loro target LDL, l'ezetimibe ha ridotto il colesterolo LDL del 25%, contro una riduzione del 4% con placebo (p<0,0001).

Sono stati presentati i dati provenienti dal sottogruppo di pazienti affetti da sindrome metabolica dello Scandinavian Simvastatin Survival Study (4S)
[37]. Nello studio 4S, 836 dei 4154 pazienti valutabili presentavano sindrome metabolica. I pazienti affetti da sindrome metabolica appartenenti al gruppo del placebo presentavano un'incidenza più elevata di CVD rispetto ai pazienti privi di sindrome metabolica. Complessivamente, la terapia a base di statine si è rivelata efficace, sia nei pazienti con sindrome metabolica, sia in quelli privi di tale condizione, in termini di significativa riduzione del rischio relativo di mortalità totale e coronarica, di eventi coronarici e di rivascolarizzazioni (riduzione dell'LDL del 37%). Tuttavia, per le differenze di eventi di CVD nei gruppi trattati con placebo, si è scoperto che i pazienti con sindrome metabolica avevano una maggior riduzione del rischio assoluto rispetto ai pazienti privi di sindrome metabolica.

Trattamento della glicemia

E' stato chiaramente dimostrato che la riduzione dei livelli di HbA1c riduce il rischio di complicanze microvascolari (retinopatia e nefropatia) e di neuropatia nei pazienti affetti da diabete di tipo 1 e tipo 2. Per la natura multifattoriale del rischio CVD nei pazienti diabetici, è stato difficile dimostrare un impatto dell'iperglicemia su tale rischio. Diversi studi presentati all'ADA hanno suggerito che vi sia un'associazione tra i livelli di HbA1c e il rischio CVD. In uno studio
[38], pazienti affetti da diabete di tipo 1 che erano stati trattati nel Diabetes Control and Complications Trial (DCCT) erano stati poi seguiti nello studio Epidemiology of Diabetes Interventions and Complications (EDIC). La calcificazione coronarica è stata misurata in 1150 pazienti dopo 7-9 anni di follow-up nell'EDIC. I pazienti trattati in maniera intensiva nello studio DCCT presentavano una calcificazione coronarica ridotta rispetto a quelli del gruppo di trattamento convenzionale. Un controllo glicemico intensivo sembra quindi possedere un beneficio duraturo sulla riduzione della calcificazione coronarica.

Un altro studio condotto a Oslo (Norvegia)
[39], ha rivelato che le donne - ma non gli uomini - affette da diabete di tipo 1 presentavano un'importante associazione tra lo spessore medio intima-media dell'arteria carotide comune e il livello di HbA1c media dopo i 18 anni. In ultimo, una meta-analisi della letteratura scientifica riguardante i livelli di HbA1c e il rischio CVD ha rivelato un rischio combinato stimato per CVD di 1,24 per ogni variazione incrementale dell'1% nel livello di A1c[40].

Tiazolidinedioni

E' stato dimostrato che la classe dei tiazolidinedioni (TZD), o glitazoni, ha un importante impatto sulla riduzione dei marker surrogati di rischio CVD nei pazienti diabetici
[41]. Molti studi presentati all'ADA hanno misurato l'impatto del pioglitazone o del rosiglitazone sui marker surrogati di CVD. In uno studio condotto in Corea[42], sono stati randomizzati pazienti affetti da diabete di tipo 2 per ricevere placebo o rosiglitazone dopo impianto di stent per CAD. Sono stati seguiti cento pazienti. A 6 mesi dal primo posizionamento di uno stent è stata eseguita un'angiografia di follow-up. La percentuale di ristenosi dello stent era significativamente ridotta nel gruppo trattato con rosiglitazone rispetto a quello con placebo (12% vs. 47%), così come ridotti si presentarono i livelli di proteina C-reattiva ad alta sensibilità [hsCRP] e di acidi grassi liberi [FFA]. Tali risultati suggeriscono un effetto antiinfiammatorio dei TZD, che può essere d'aiuto nella riduzione di eventi CVD.

In una presentazione
[43], si è visto che il rosiglitazone riduce i livelli dei marker vascolari/infiammatori circolanti quali la proteina C-reattiva ad alta sensibilità [hsCRP], l'inibitore dell'attivatore del plasminogeno-1 (PAI-1), e la selectina-E in pazienti diabetici e non, indipendentemente dai suoi effetti di riduzione della glicemia. Analogamente, è stato dimostrato che il pioglitazone riduce i livelli di hsCRP e migliora la velocità dell'onda delle pulsazioni, marker della distensibilità della parete arteriosa[44].Come nel caso del rosiglitazone, questi risultati erano indipendenti dagli effetti ipoglicemizzanti. E' stato anche dimostrato che il pioglitazone inibisce l'espressione della metalloproteinasi-1 della matrice nelle cellule della muscolatura liscia vascolare, suggerendo che il pioglitazone può bloccare la migrazione delle cellule muscolari lisce nelle lesioni aterosclerotiche, aiutando la prevenzione dell'aterogenesi[45].

Conclusioni

I pazienti affetti da IGT e da diabete di tipo 2 hanno un importante aumento del rischio CVD. I dati presentati al recente meeting ADA aiutano nella definizione del rischio, in particolare nei pazienti che presentano la sindrome metabolica, e dei trattamenti efficaci. Sfortunatamente, non viene realizzata né la prevenzione primaria, né quella secondaria di CVD
[46]; solo il 27% dei pazienti affetti da diabete e CVD riconosciuta raggiungono i target lipidici desiderati, e solo il 16,9% dei pazienti privi di CVD riconosciuta. Le modificazioni dello stile di vita, come mostrato nello studio DPP, sono in grado di fornire benefici significativi. Per molti pazienti sarà anche necessario l'utilizzo di agenti atti alla riduzione dei lipidi nonché di agenti antiipertensivi. La maggior parte dei soggetti a rischio dovrebbe assumere aspirina quotidianamente. Nuovi trattamenti per il diabete di tipo 2, quali i tiazolidinedioni, possono offrire importanti benefici cardiovascolari, basandosi sui risultati preliminari sui marker surrogati. Tuttavia, il loro effetto complessivo sul rischio CVD resterà ignoto fino al completamento di vasti studi prospettici sui risultati clinici in pazienti affetti da diabete di tipo 2. Finché tali studi non saranno portati a termine, sarà necessario trattare i pazienti secondo gli obiettivi utilizzando tutte le conoscenze di cui si dispone per ridurre la glicemia, la pressione arteriosa e i lipidi. Occorre inoltre assicurarsi che i pazienti vengano edotti sulla necessità di mantenere un buon controllo di tutti gli aspetti della loro patologia.

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