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Complicanze
polmonari nel diabete
Nel corso del meeting
ADA 2003, durante un simposio sul
rilascio polmonare dell'insulina[1],
la Dott.ssa Connie C.W. Hsia (University
of Texas Southwestern Medical Center,
Dallas, USA) ha tenuto una relazione
sulle complicanze polmonari del diabete.
La Dott.ssa Hsia ha sottolineato come
il diabete si associ a un rischio
aumentato di polmonite, che la neuropatia
autonomica si associ ad alterazioni
della respirazione durante il sonno
e a una ridotta capacità nel
riconoscere difficoltà di respirazione,
e che i soggetti diabetici possono
presentare anomalie strutturali dei
polmoni legate a un aumento o ad anomalie
del collagene e dell'elastina, tutte
anomalie che possono condurre a caratteristici
disordini subclinici della funzione
polmonare.
La valutazione della
funzione respiratoria, ha affermato,
può fornire una misura quantitativa
della funzione microvascolare, in
gran parte indipendente dal grado
di forma fisica. Inoltre, alterazioni
funzionali subcliniche possono diventare
importanti quando sopravvengano complicanze
quali l'insufficienza cardiaca o renale,
a seguito dell'esposizione a sostanze
tossiche o chimiche assunte per via
inalatoria (di particolare rilievo
per il tema della discussione corrente),
comprese le sostanze assunte a scopo
ricreazionale come la nicotina e la
cannabis, o a farmaci come i broncodilatatori,
gli anticolinergici, i corticosteroidi
e, ora, l'insulina.
I polmoni sono l'organo
più grande del corpo umano,
con la loro immensa vascolarizzazione.
La capacità fisiologica di
trasporto dell'ossigeno da parte dei
polmoni è due volte superiore
rispetto alle esigenze dell'organismo.
Comunque, nei soggetti sottoposti
ad intenso allenamento fisico, è
possibile aumentare la richiesta di
ossigeno fino a raggiungere la capacità
polmonare di rilascio di ossigeno.
Il polmone è continuamente
esposto alle modificazioni della temperatura,
della pressione barometrica, di umidità,
alle sostanze inquinanti, agli allergeni
e ai tossici, e invecchiando mostra
pertanto una riduzione funzionale
superiore rispetto ad altri tessuti.
La funzione polmonare peggiora a un
tasso approssimativo dell'1% ogni
anno, per cui anche anomalie subcliniche
presenti in una fase precoce di vita
possono alla fine causare inabilità
in una fase più avanzata.
La Dott.ssa Hsia ha
riepilogato gli indici utilizzati
nella valutazione della funzione polmonare.
Il volume viene misurato tramite la
capacità vitale forzata (forced
vital capacity, FVC); i flussi espiratori
sono misurati con il volume espiratorio
forzato in 1 secondo (forced expiratory
volume, FEV1) per le grandi vie respiratorie
e con il flusso espiratorio forzato
(forced expiratory flow, FEF25-75)
per le piccole vie; lo scambio alveolare
dei gas viene misurato mediante la
capacità di diffusione del
monossido di carbonio (diffusing capacity
for carbon monoxide, DLCO).
Gli ultimi sette livelli
di tessuto alveolare necessitano di
capacità di diffusione per
trasportare l'ossigeno. Una volta
raggiunti gli alveoli, l'86% del volume
è composto da aria, il 7% dal
tessuto dei setti, e il 7% da sangue
capillare, con il trasporto di ossigeno
che avviene per diffusione attraverso
la membrana capillare alveolare. Questa
membrana, generalmente, ha uno spessore
inferiore a 1 micron: la capacità
di conduzione è proporzionale
alla superficie e inversamente proporzionale
allo spessore. La diffusione attraverso
la membrana può essere determinata
separatamente da quella del sangue,
e il volume ematico capillare polmonare
può essere ricavato da questa
determinazione. All'aumento della
pressione di perfusione aumenta l'apertura
dei capillari alveolari, che determina
un aumento della DLCO, per cui all'aumento
della gettata cardiaca corrisponde
un aumento della DLCO, per un fenomeno
di reclutamento dei capillari alveolari.
Nelle patologie polmonari alcuni alveoli
sono distrutti, causando una distensione
degli altri alveoli con aumento compensatorio
della capacità unitaria di
diffusione. Quindi, ad esempio, alla
distruzione del 50% degli alveoli,
la DLCO dovrebbe ridursi caratteristicamente
di circa il 25%. Nella grave patologia
polmonare, la capacità di diffusione
non può aumentare proporzionatamente
alla gettata cardiaca, riducendosi
la curva di relazione tra queste due,
causando una riduzione della saturazione
arteriosa di ossigeno. Nei soggetti
affetti da scompenso cardiaco congestizio,
d'altra parte, il problema primario
è la riduzione della gettata
massima cardiaca, mentre la curva
di relazione tra la gettata cardiaca
e la capacità di diffusione
è normale.
Negli studi effettuati
dalla Dott.ssa Hsia su soggetti affetti
da diabete di tipo 1 nell'ambito del
Diabetes Control and Complications
Trial (DCCT), la FVC, la FEV1 e la
FEF25-75 erano approssimativamente
l'80% del normale nel gruppo di controllo,
ma normali nel gruppo in trattamento
intensivo. La capacità di diffusione
era rispettivamente il 65 e l'85%
del normale nei gruppi di controllo
e in trattamento intensivo, mentre
la capacità di esercizio rispettivamente
il 60 e il 75%. L'indice cardiaco
era ridotto, a riposo e al picco di
esercizio, rispettivamente del 25
e 35%, con risultati simili nei due
gruppi. Anche la DLCO era ridotta,
con il gruppo con la glicemia più
alta che mostrava una riduzione particolare
della capacità di diffusione
di membrana, ipotizzando un ispessimento
della barriera piuttosto che una perdita
di capillari. Nel diabete di tipo
2 la funzione polmonare iniziale sembra
normale, ma vi è una riduzione
della capacità di diffusione,
particolarmente evidente durante esercizio.
La Dott.ssa Hsia ha
concluso affermando che la relazione
tra capacità di diffusione
e gettata cardiaca fornisce un indice
quantitativo non invasivo di microangiopatia.
Nel diabete si osserva una riduzione
del 30-40% della capacità di
diffusione di membrana corretta per
la gettata cardiaca, che suggerisce
un aumento dello spessore di barriera
che coinvolge la membrana basale e
il tessuto connettivo, mentre il reclutamento
capillare è normale. Ciò
correla con il compenso glicemico.
Nel diabete di tipo 1 di lunga durata,
un compenso rigoroso sembra in grado
di migliorare la funzione polmonare,
suggerendo la reversibilità
della microvasculopatia. Sarebbe interessante
sapere se siano stati condotti, o
siano in corso, studi che permettano
di valutare questi indici di funzione
respiratoria nell'ambito dei trial
di trattamento insulinico per via
inalatoria.
Il polmone: un
organo immunologico
Il Dott. Leonard C.
Harrison (University of Melbourne,
Australia) ha presentato una relazione
sul polmone come organo immunologico,
riferendosi specificatamente agli
effetti dell'insulina per via inalatoria.
Ha sottolineato il fatto che l'immensa
superficie di contatto nel polmone
determina un enorme potenziale di
esposizione agli antigeni. I meccanismi
di difesa del polmone comprendono
le vibrisse nasali, che intrappolano
particelle >10 mcm; l'albero tracheobronchiale,
che trattiene le particelle di diametro
compreso tra 3 e 10 mcm, e la barriera
difensiva rappresentata dal muco.
I macrofagi alveolari e i neutrofili
periferici svolgono un ruolo immunologico,
così come le cellule epiteliali,
che possiedono proteine surfattanti
e fosfolipidi deputati a questa funzione.
Il tessuto linfatico associato ai
bronchi contiene macrofagi, cellule
dendritiche e linfociti T, con una
frazione particolarmente elevata di
cellule T gamma e delta paragonabile
quasi a quella osservabile nell'intestino.
Tra i polmoni sono anche presenti
linfonodi regionali.
Le cellule dendritiche
polmonari sono coinvolte nel priming
delle risposte delle cellule T polmonari
in reazione agli stimoli. Sono prodotte
cellule T regolatorie che secernono
interleuchina (IL)-10. Nell'intestino,
le cellule T sono organizzate nelle
placche di Peyer, mentre nel polmone
sono presenti aggregati linfoidi meno
organizzati. L'intestino e i polmoni
esprimono marker T-cellulari differenti,
con, ad esempio, una predominanza
delle cellule T CD8 nell'intestino,
ma non nei polmoni.
Gli studi condotti
su un modello murino di diabete di
tipo 1 dimostrano che, quando l'insulina
viene inalata, vi è un aumento
degli anticorpi antiinsulina e una
riduzione della proliferazione delle
cellule T, con un aumento di citochine
come l'IL-10 e con un'induzione di
cellule T regolatorie CD8, che riducono
la percentuale di sviluppo del diabete
dall'80% circa al 60%[2].
La somministrazione di insulina intatta
tramite la via nasorespiratoria aumenta
le cellule T CD8, mentre la somministrazione
di un frammento insulinico che si
lega a un locus maggiore di istocompatibilità
(MHC) aumenta le cellule CD4, quando
somministrato per via nasale o orale.
Le cellule T CD8 gamma 6 di topi trattati
con insulina per aerosol (ma non per
via orale) bloccano il trasferimento
adottivo del diabete. Queste cellule
T CD8 si accumulano nei linfonodi
pancreatici, dopo trattamento dell'animale
con insulina per via inalatoria. Gli
anticorpi anti-IL10 prevengono l'effetto
antidiabetico. Il Dott. Harrison ha
osservato che quando l'insulina veniva
somministrata per via inalatoria polmonare
vi era un aumento di tutti i sottogruppi
di linfociti, suggerendo che l'antigene
inalato può rappresentare "una
lama a doppio taglio" che può
portare al priming delle cellule T
oppure alla tolleranza. Il peptide
proinsulinico B24-C36 altera la risposta
immunitaria, sebbene riduca l'incidenza
di diabete solo marginalmente. Altre
sequenze consentono la soppressione
del diabete autoimmune o inducono
cellule T citotossiche, quando somministrate
per via intranasale.
L'intranasal insulin
trial I (INIT-1) aveva lo scopo di
determinare se la somministrazione
di insulina per via nasale alterasse
i marker surrogati di autoimmunità
pancreatica nei bambini a rischio
d sviluppare diabete di tipo 1. Dopo
somministrazione di insulina per via
nasale sono aumentati i livelli anticorpali
antiinsulina. In corso di trattamento
intranasale, si è per contro
ridotta la proliferazione delle T-cellule
in risposta all'insulina denaturata[3].
Perciò, ha concluso il Dott.
Harrison, l'insulina per via inalatoria
è antigenica, aumentando gli
anticorpi, riducendo le risposte delle
cellule T CD4, ed essendo in grado
di condurre a cellule T CD8 gamma-delta
antidiabetogeniche, nei modelli sperimentali
di diabete di tipo 1. Ciò solleva
l'interessante questione se tale forma
d'insulina possa indurre l'espressione
di cellule T citotossiche CD8 negli
esseri umani.
Sicurezza immunologica
dell'insulina per via inalatoria
Il Dott. S. Edwin Fineberg
(Indiana University School of Medicine,
Indianapolis, USA), ha successivamente
presentato una relazione sulla sicurezza
immunologica dell'insulina per via
inalatoria. Ha osservato che la vasta
superficie alveolare offre un ambiente
favorevole per il rilascio di sostanze
a basso peso molecolare. L'albero
bronchiolo-polmonare fornisce un'interfaccia
attiva tra l'organismo e l'ambiente,
consentendo lo scambio di gas e l'export
di particelle corpuscolate e materiale
volatile. I sistemi di difesa respiratoria
comprendono la struttura stessa delle
vie aeree, che consente l'intrappolamento
delle particelle più grandi,
e meccanismi di adattamento, che comprendono
l'immunità umorale e cellulare,
i quali affrontano il materiale assorbito.
Gli anticorpi antiormone possiedono
la capacità potenziale di produrre
effetti neutralizzanti, con possibili
effetti collaterali. Anticorpi antiinsulina
possono essere prodotti a causa d'impurità
della preparazione, per anomalie delle
strutture molecolari o le caratteristiche
della formulazione, comprese le condizioni
di conservazione, che portano allo
sviluppo di dimeri e prodotti di ossidazione.
L'età del paziente, l'insulina
endogena, l'aplotipo HLA e la via
di rilascio sono fattori addizionali
che modulano la risposta immunitaria
all'insulina.
Studi condotti all'inizio
degli anni '80 del secolo scorso su
persone trattate, per la prima volta
nella loro vita, con insulina umana
mostrarono una maggior risposta anticorpale
all'insulina umana nei soggetti con
diabete di tipo 1, rispetto ai soggetti
affetti da diabete di tipo 2. Vi era
una risposta ancora maggiore nei confronti
dell'insulina porcina, simile nei
soggetti di tipo 1 e di tipo 2. La
risposta immunitaria all'insulina
lispro è simile a quella all'insulina
umana, ma con livelli più elevati
nei soggetti affetti da diabete di
tipo 1. I livelli anticorpali mostrano
un aumento graduale nel corso di un
anno di osservazione.Tra le persone
con diabete di tipo 1, quelle che
sono HLA DR4 positive hanno una risposta
anticorpale nettamente superiore all'insulina
porcina rispetto a quelle DR4 negative,
ma questa differenza scompare con
l'insulina umana. All'analisi multivariata,
la provenienza insulinica (umana vs.
porcina), l'età maggiore, e
livelli di peptide c superiori si
associano in maniera indipendente
con una risposta anticorpale inferiore
all'insulina. La somministrazione
insulinica mediante infusione sottocutanea
(SC) continua è maggiormente
immunogena rispetto alla somministrazione
mediante iniezioni SC convenzionali.
L'insulina SC deposito è maggiormente
immunogena rispetto all'insulina solubile,
e l'insulina somministrata per via
intraperitoneale più immunogena
rispetto a quella SC. Il Dott. Fineberg
ha osservato che è possibile
che si possa sviluppare sensibilizzazione
successivamente a una prima somministrazione
insulinica.
Gli anticorpi umani
antiinsulina causano una reazione
allergica locale nel 2% dei pazienti
circa, e meno dello 0,1% mostra evidenza
di allergia sistemica. La presenza
di anticorpi leganti circolanti può
causare un incremento della dose insulinica
fino al 5-10%. Si possono osservare
immunocomplessi circolanti, sebbene
non sia stato dimostrato che possiedano
significato patologico.
Studi effettuati sull'insulina
per via inalatoria hanno evidenziato
che il sistema AERx iDMS con insulina
inalatoria NovoNordisk ha determinato
un aumento dei livelli anticorpali
di IgG non neutralizzanti antiinsulina,
in un periodo di 12 settimane, in
soggetti affetti da diabete di tipo
1. Il Dott. Fineberg ha parlato degli
studi sull'insulina per via inalatoria
Pfizer-Aventis Exubera che hanno coinvolto
781 soggetti con diabete di tipo 1,
298 soggetti con diabete di tipo 2
che avevano precedentemente ricevuto
insulina SC e 518 soggetti con diabete
tipo 2 mai trattati in precedenza
con insulina. Le risposte anticorpali
antiinsulina erano maggiori dopo insulina
per via inalatoria nei soggetti di
tipo 1, e inferiori nei soggetti di
tipo 2 che avevano ricevuto in precedenza
trattamento insulinico long-acting.
Nei soggetti affetti da diabete di
tipo 2 non trattati con insulina nel
primo anno di terapia non si è
manifestata alcuna risposta anticorpale,
suggerendo che la sensibilizzazione
avvenga in modo simile a quanto si
osserva con l'insulina SC.
In studi sulla sicurezza
a lungo termine, della durata fino
a 2 anni, i livelli anticorpali di
IgG antiinsulina sono stabili nei
gruppi che avevano ricevuto in precedenza
insulina SC, mentre nei soggetti con
diabete di tipo 2 mai sottoposti in
precedenza a trattamento insulinico
bassi livelli anticorpali di IgG compaiono
dopo circa un anno. Non compaiono
anticorpi antiinsulina del tipo IgE,
IgA, e IgM. La richiesta insulinica
non è stata modificata dai
livelli anticorpali antiinsulina,
che non hanno neppure mostrato alcuna
relazione con ipoglicemie. La FEV1
non era modificata dallo stato anticorpale,
e non vi era evidenza di una frequenza
aumentata di eventi allergici. Il
Dott. Fineberg non ha fatto riferimento
a studi di funzionalità respiratoria
più raffinati, del tipo descritto
nella presentazione iniziale della
Dott.ssa Hsia.
Conclusioni e
prospettive
Sembra chiaro che,
sebbene studi precedenti[4]
abbiano dimostrato che la via inalatoria
possa rappresentare un'efficace via
di somministrazione dell'insulina
in termini di ottenimento di un buon
compenso glicemico, vi è ancora
molto da imparare a proposito del
complesso effetto del diabete sui
polmoni, e della possibilità
che l'insulina assunta per via polmonare
peggiori queste alterazioni patologiche.
Attualmente, sebbene siano disponibili
studi sofisticati di funzione respiratoria
del tipo descritto nella presentazione
della Dott.ssa Hsia, non è
stato divulgato alcun risultato di
studi clinici che diano al medico
che ha in cura soggetti diabetici
informazioni in merito all'evidenza
di anormale funzione alveolare nei
sottogruppi di soggetti trattati con
insulina per via inalatoria. Gli studi
descritti dal Dott. Harrison dimostrano,
come atteso, che il polmone è
potenzialmente un importante sito
di risposta immunitaria. La relazione
del Dott. Fineberg suggerisce che,
dal punto di vista delle immunoglobuline
circolanti, il rilascio polmonare
dell'insulina abbia effetti simili
a quelli dell'insulina SC, per quanto
ovviamente non si possa ancora estrapolare
questo dato nei confronti di possibili
effetti collaterali immunitari più
complessi.
Bibliografia
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Medscape Diabetes & Endocrinology.
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