<% %> Infodiabetes.it - Congresso ADA 2003
 




June 13 - 17, 2003, New Orleans, Louisiana


 
Insulina a rilascio polmonare
Zachary T. Bloomgarden, MD


 
Torna al sommario


Complicanze polmonari nel diabete

Nel corso del meeting ADA 2003, durante un simposio sul rilascio polmonare dell'insulina[1], la Dott.ssa Connie C.W. Hsia (University of Texas Southwestern Medical Center, Dallas, USA) ha tenuto una relazione sulle complicanze polmonari del diabete. La Dott.ssa Hsia ha sottolineato come il diabete si associ a un rischio aumentato di polmonite, che la neuropatia autonomica si associ ad alterazioni della respirazione durante il sonno e a una ridotta capacità nel riconoscere difficoltà di respirazione, e che i soggetti diabetici possono presentare anomalie strutturali dei polmoni legate a un aumento o ad anomalie del collagene e dell'elastina, tutte anomalie che possono condurre a caratteristici disordini subclinici della funzione polmonare.

La valutazione della funzione respiratoria, ha affermato, può fornire una misura quantitativa della funzione microvascolare, in gran parte indipendente dal grado di forma fisica. Inoltre, alterazioni funzionali subcliniche possono diventare importanti quando sopravvengano complicanze quali l'insufficienza cardiaca o renale, a seguito dell'esposizione a sostanze tossiche o chimiche assunte per via inalatoria (di particolare rilievo per il tema della discussione corrente), comprese le sostanze assunte a scopo ricreazionale come la nicotina e la cannabis, o a farmaci come i broncodilatatori, gli anticolinergici, i corticosteroidi e, ora, l'insulina.

I polmoni sono l'organo più grande del corpo umano, con la loro immensa vascolarizzazione. La capacità fisiologica di trasporto dell'ossigeno da parte dei polmoni è due volte superiore rispetto alle esigenze dell'organismo. Comunque, nei soggetti sottoposti ad intenso allenamento fisico, è possibile aumentare la richiesta di ossigeno fino a raggiungere la capacità polmonare di rilascio di ossigeno. Il polmone è continuamente esposto alle modificazioni della temperatura, della pressione barometrica, di umidità, alle sostanze inquinanti, agli allergeni e ai tossici, e invecchiando mostra pertanto una riduzione funzionale superiore rispetto ad altri tessuti. La funzione polmonare peggiora a un tasso approssimativo dell'1% ogni anno, per cui anche anomalie subcliniche presenti in una fase precoce di vita possono alla fine causare inabilità in una fase più avanzata.

La Dott.ssa Hsia ha riepilogato gli indici utilizzati nella valutazione della funzione polmonare. Il volume viene misurato tramite la capacità vitale forzata (forced vital capacity, FVC); i flussi espiratori sono misurati con il volume espiratorio forzato in 1 secondo (forced expiratory volume, FEV1) per le grandi vie respiratorie e con il flusso espiratorio forzato (forced expiratory flow, FEF25-75) per le piccole vie; lo scambio alveolare dei gas viene misurato mediante la capacità di diffusione del monossido di carbonio (diffusing capacity for carbon monoxide, DLCO).

Gli ultimi sette livelli di tessuto alveolare necessitano di capacità di diffusione per trasportare l'ossigeno. Una volta raggiunti gli alveoli, l'86% del volume è composto da aria, il 7% dal tessuto dei setti, e il 7% da sangue capillare, con il trasporto di ossigeno che avviene per diffusione attraverso la membrana capillare alveolare. Questa membrana, generalmente, ha uno spessore inferiore a 1 micron: la capacità di conduzione è proporzionale alla superficie e inversamente proporzionale allo spessore. La diffusione attraverso la membrana può essere determinata separatamente da quella del sangue, e il volume ematico capillare polmonare può essere ricavato da questa determinazione. All'aumento della pressione di perfusione aumenta l'apertura dei capillari alveolari, che determina un aumento della DLCO, per cui all'aumento della gettata cardiaca corrisponde un aumento della DLCO, per un fenomeno di reclutamento dei capillari alveolari. Nelle patologie polmonari alcuni alveoli sono distrutti, causando una distensione degli altri alveoli con aumento compensatorio della capacità unitaria di diffusione. Quindi, ad esempio, alla distruzione del 50% degli alveoli, la DLCO dovrebbe ridursi caratteristicamente di circa il 25%. Nella grave patologia polmonare, la capacità di diffusione non può aumentare proporzionatamente alla gettata cardiaca, riducendosi la curva di relazione tra queste due, causando una riduzione della saturazione arteriosa di ossigeno. Nei soggetti affetti da scompenso cardiaco congestizio, d'altra parte, il problema primario è la riduzione della gettata massima cardiaca, mentre la curva di relazione tra la gettata cardiaca e la capacità di diffusione è normale.

Negli studi effettuati dalla Dott.ssa Hsia su soggetti affetti da diabete di tipo 1 nell'ambito del Diabetes Control and Complications Trial (DCCT), la FVC, la FEV1 e la FEF25-75 erano approssimativamente l'80% del normale nel gruppo di controllo, ma normali nel gruppo in trattamento intensivo. La capacità di diffusione era rispettivamente il 65 e l'85% del normale nei gruppi di controllo e in trattamento intensivo, mentre la capacità di esercizio rispettivamente il 60 e il 75%. L'indice cardiaco era ridotto, a riposo e al picco di esercizio, rispettivamente del 25 e 35%, con risultati simili nei due gruppi. Anche la DLCO era ridotta, con il gruppo con la glicemia più alta che mostrava una riduzione particolare della capacità di diffusione di membrana, ipotizzando un ispessimento della barriera piuttosto che una perdita di capillari. Nel diabete di tipo 2 la funzione polmonare iniziale sembra normale, ma vi è una riduzione della capacità di diffusione, particolarmente evidente durante esercizio.

La Dott.ssa Hsia ha concluso affermando che la relazione tra capacità di diffusione e gettata cardiaca fornisce un indice quantitativo non invasivo di microangiopatia. Nel diabete si osserva una riduzione del 30-40% della capacità di diffusione di membrana corretta per la gettata cardiaca, che suggerisce un aumento dello spessore di barriera che coinvolge la membrana basale e il tessuto connettivo, mentre il reclutamento capillare è normale. Ciò correla con il compenso glicemico. Nel diabete di tipo 1 di lunga durata, un compenso rigoroso sembra in grado di migliorare la funzione polmonare, suggerendo la reversibilità della microvasculopatia. Sarebbe interessante sapere se siano stati condotti, o siano in corso, studi che permettano di valutare questi indici di funzione respiratoria nell'ambito dei trial di trattamento insulinico per via inalatoria.

Torna al sommario


Il polmone: un organo immunologico

Il Dott. Leonard C. Harrison (University of Melbourne, Australia) ha presentato una relazione sul polmone come organo immunologico, riferendosi specificatamente agli effetti dell'insulina per via inalatoria. Ha sottolineato il fatto che l'immensa superficie di contatto nel polmone determina un enorme potenziale di esposizione agli antigeni. I meccanismi di difesa del polmone comprendono le vibrisse nasali, che intrappolano particelle >10 mcm; l'albero tracheobronchiale, che trattiene le particelle di diametro compreso tra 3 e 10 mcm, e la barriera difensiva rappresentata dal muco. I macrofagi alveolari e i neutrofili periferici svolgono un ruolo immunologico, così come le cellule epiteliali, che possiedono proteine surfattanti e fosfolipidi deputati a questa funzione. Il tessuto linfatico associato ai bronchi contiene macrofagi, cellule dendritiche e linfociti T, con una frazione particolarmente elevata di cellule T gamma e delta paragonabile quasi a quella osservabile nell'intestino. Tra i polmoni sono anche presenti linfonodi regionali.

Le cellule dendritiche polmonari sono coinvolte nel priming delle risposte delle cellule T polmonari in reazione agli stimoli. Sono prodotte cellule T regolatorie che secernono interleuchina (IL)-10. Nell'intestino, le cellule T sono organizzate nelle placche di Peyer, mentre nel polmone sono presenti aggregati linfoidi meno organizzati. L'intestino e i polmoni esprimono marker T-cellulari differenti, con, ad esempio, una predominanza delle cellule T CD8 nell'intestino, ma non nei polmoni.

Gli studi condotti su un modello murino di diabete di tipo 1 dimostrano che, quando l'insulina viene inalata, vi è un aumento degli anticorpi antiinsulina e una riduzione della proliferazione delle cellule T, con un aumento di citochine come l'IL-10 e con un'induzione di cellule T regolatorie CD8, che riducono la percentuale di sviluppo del diabete dall'80% circa al 60%[2]. La somministrazione di insulina intatta tramite la via nasorespiratoria aumenta le cellule T CD8, mentre la somministrazione di un frammento insulinico che si lega a un locus maggiore di istocompatibilità (MHC) aumenta le cellule CD4, quando somministrato per via nasale o orale. Le cellule T CD8 gamma 6 di topi trattati con insulina per aerosol (ma non per via orale) bloccano il trasferimento adottivo del diabete. Queste cellule T CD8 si accumulano nei linfonodi pancreatici, dopo trattamento dell'animale con insulina per via inalatoria. Gli anticorpi anti-IL10 prevengono l'effetto antidiabetico. Il Dott. Harrison ha osservato che quando l'insulina veniva somministrata per via inalatoria polmonare vi era un aumento di tutti i sottogruppi di linfociti, suggerendo che l'antigene inalato può rappresentare "una lama a doppio taglio" che può portare al priming delle cellule T oppure alla tolleranza. Il peptide proinsulinico B24-C36 altera la risposta immunitaria, sebbene riduca l'incidenza di diabete solo marginalmente. Altre sequenze consentono la soppressione del diabete autoimmune o inducono cellule T citotossiche, quando somministrate per via intranasale.

L'intranasal insulin trial I (INIT-1) aveva lo scopo di determinare se la somministrazione di insulina per via nasale alterasse i marker surrogati di autoimmunità pancreatica nei bambini a rischio d sviluppare diabete di tipo 1. Dopo somministrazione di insulina per via nasale sono aumentati i livelli anticorpali antiinsulina. In corso di trattamento intranasale, si è per contro ridotta la proliferazione delle T-cellule in risposta all'insulina denaturata[3]. Perciò, ha concluso il Dott. Harrison, l'insulina per via inalatoria è antigenica, aumentando gli anticorpi, riducendo le risposte delle cellule T CD4, ed essendo in grado di condurre a cellule T CD8 gamma-delta antidiabetogeniche, nei modelli sperimentali di diabete di tipo 1. Ciò solleva l'interessante questione se tale forma d'insulina possa indurre l'espressione di cellule T citotossiche CD8 negli esseri umani.

Torna al sommario


Sicurezza immunologica dell'insulina per via inalatoria

Il Dott. S. Edwin Fineberg (Indiana University School of Medicine, Indianapolis, USA), ha successivamente presentato una relazione sulla sicurezza immunologica dell'insulina per via inalatoria. Ha osservato che la vasta superficie alveolare offre un ambiente favorevole per il rilascio di sostanze a basso peso molecolare. L'albero bronchiolo-polmonare fornisce un'interfaccia attiva tra l'organismo e l'ambiente, consentendo lo scambio di gas e l'export di particelle corpuscolate e materiale volatile. I sistemi di difesa respiratoria comprendono la struttura stessa delle vie aeree, che consente l'intrappolamento delle particelle più grandi, e meccanismi di adattamento, che comprendono l'immunità umorale e cellulare, i quali affrontano il materiale assorbito. Gli anticorpi antiormone possiedono la capacità potenziale di produrre effetti neutralizzanti, con possibili effetti collaterali. Anticorpi antiinsulina possono essere prodotti a causa d'impurità della preparazione, per anomalie delle strutture molecolari o le caratteristiche della formulazione, comprese le condizioni di conservazione, che portano allo sviluppo di dimeri e prodotti di ossidazione. L'età del paziente, l'insulina endogena, l'aplotipo HLA e la via di rilascio sono fattori addizionali che modulano la risposta immunitaria all'insulina.

Studi condotti all'inizio degli anni '80 del secolo scorso su persone trattate, per la prima volta nella loro vita, con insulina umana mostrarono una maggior risposta anticorpale all'insulina umana nei soggetti con diabete di tipo 1, rispetto ai soggetti affetti da diabete di tipo 2. Vi era una risposta ancora maggiore nei confronti dell'insulina porcina, simile nei soggetti di tipo 1 e di tipo 2. La risposta immunitaria all'insulina lispro è simile a quella all'insulina umana, ma con livelli più elevati nei soggetti affetti da diabete di tipo 1. I livelli anticorpali mostrano un aumento graduale nel corso di un anno di osservazione.Tra le persone con diabete di tipo 1, quelle che sono HLA DR4 positive hanno una risposta anticorpale nettamente superiore all'insulina porcina rispetto a quelle DR4 negative, ma questa differenza scompare con l'insulina umana. All'analisi multivariata, la provenienza insulinica (umana vs. porcina), l'età maggiore, e livelli di peptide c superiori si associano in maniera indipendente con una risposta anticorpale inferiore all'insulina. La somministrazione insulinica mediante infusione sottocutanea (SC) continua è maggiormente immunogena rispetto alla somministrazione mediante iniezioni SC convenzionali. L'insulina SC deposito è maggiormente immunogena rispetto all'insulina solubile, e l'insulina somministrata per via intraperitoneale più immunogena rispetto a quella SC. Il Dott. Fineberg ha osservato che è possibile che si possa sviluppare sensibilizzazione successivamente a una prima somministrazione insulinica.

Gli anticorpi umani antiinsulina causano una reazione allergica locale nel 2% dei pazienti circa, e meno dello 0,1% mostra evidenza di allergia sistemica. La presenza di anticorpi leganti circolanti può causare un incremento della dose insulinica fino al 5-10%. Si possono osservare immunocomplessi circolanti, sebbene non sia stato dimostrato che possiedano significato patologico.

Studi effettuati sull'insulina per via inalatoria hanno evidenziato che il sistema AERx iDMS con insulina inalatoria NovoNordisk ha determinato un aumento dei livelli anticorpali di IgG non neutralizzanti antiinsulina, in un periodo di 12 settimane, in soggetti affetti da diabete di tipo 1. Il Dott. Fineberg ha parlato degli studi sull'insulina per via inalatoria Pfizer-Aventis Exubera che hanno coinvolto 781 soggetti con diabete di tipo 1, 298 soggetti con diabete di tipo 2 che avevano precedentemente ricevuto insulina SC e 518 soggetti con diabete tipo 2 mai trattati in precedenza con insulina. Le risposte anticorpali antiinsulina erano maggiori dopo insulina per via inalatoria nei soggetti di tipo 1, e inferiori nei soggetti di tipo 2 che avevano ricevuto in precedenza trattamento insulinico long-acting. Nei soggetti affetti da diabete di tipo 2 non trattati con insulina nel primo anno di terapia non si è manifestata alcuna risposta anticorpale, suggerendo che la sensibilizzazione avvenga in modo simile a quanto si osserva con l'insulina SC.

In studi sulla sicurezza a lungo termine, della durata fino a 2 anni, i livelli anticorpali di IgG antiinsulina sono stabili nei gruppi che avevano ricevuto in precedenza insulina SC, mentre nei soggetti con diabete di tipo 2 mai sottoposti in precedenza a trattamento insulinico bassi livelli anticorpali di IgG compaiono dopo circa un anno. Non compaiono anticorpi antiinsulina del tipo IgE, IgA, e IgM. La richiesta insulinica non è stata modificata dai livelli anticorpali antiinsulina, che non hanno neppure mostrato alcuna relazione con ipoglicemie. La FEV1 non era modificata dallo stato anticorpale, e non vi era evidenza di una frequenza aumentata di eventi allergici. Il Dott. Fineberg non ha fatto riferimento a studi di funzionalità respiratoria più raffinati, del tipo descritto nella presentazione iniziale della Dott.ssa Hsia.

Torna al sommario


Conclusioni e prospettive

Sembra chiaro che, sebbene studi precedenti[4] abbiano dimostrato che la via inalatoria possa rappresentare un'efficace via di somministrazione dell'insulina in termini di ottenimento di un buon compenso glicemico, vi è ancora molto da imparare a proposito del complesso effetto del diabete sui polmoni, e della possibilità che l'insulina assunta per via polmonare peggiori queste alterazioni patologiche. Attualmente, sebbene siano disponibili studi sofisticati di funzione respiratoria del tipo descritto nella presentazione della Dott.ssa Hsia, non è stato divulgato alcun risultato di studi clinici che diano al medico che ha in cura soggetti diabetici informazioni in merito all'evidenza di anormale funzione alveolare nei sottogruppi di soggetti trattati con insulina per via inalatoria. Gli studi descritti dal Dott. Harrison dimostrano, come atteso, che il polmone è potenzialmente un importante sito di risposta immunitaria. La relazione del Dott. Fineberg suggerisce che, dal punto di vista delle immunoglobuline circolanti, il rilascio polmonare dell'insulina abbia effetti simili a quelli dell'insulina SC, per quanto ovviamente non si possa ancora estrapolare questo dato nei confronti di possibili effetti collaterali immunitari più complessi.


Torna al sommario


Bibliografia di riferimento

1.   Hsia CCW, Harrison LC, Fineberg SE. Symposium: Pulmonary delivery of insulin. Program and abstracts of the 63rd Scientific Sessions of the American Diabetes Association; June 13-17, 2003; New Orleans, Louisiana.
2.   Harrison LC, Dempsey-Collier M, Kramer DR, Takahashi K. Aerosol insulin induces regulatory CD8 gamma delta T cells that prevent murine insulin-dependent diabetes. J Exp Med. 1996;184:2167-2174. Abstract
3.   Schatz DA, Winter WA. Ask the Experts: Outcome of type 1 diabetes trials. Medscape Diabetes & Endocrinology. Available at:
http://www.medscape.com/viewarticle/436017.
4.   Bloomgarden ZT. Novel routes of insulin administration. Program and abstracts of the 62nd Scientific Sessions of the American Diabetes Association; June 14-18, 2002; San Francisco, California. Medscape Diabetes & Endocrinology. Available at:
http://www.medscape.com/viewarticle/438371.


Torna al sommario


 
 

 

 
  Questo servizio è sviluppato in collaborazione con