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La retinopatia al centro degli studi
clinici
L'occhio è stato
scelto come sistema modello nella
sessione riguardante le terapie future
della patologia microvascolare associata
al diabete[1]
della 63ma Scientific Sessions dell'American
Diabetes Association. Mentre altre
aree target, quali la nefropatia e
la neuropatia, hanno avuto i loro
periodi di sviluppo sperimentale e
clinico negli anni '80 e '90 del secolo
scorso, ora è la retinopatia
diabetica ad essere al centro degli
studi clinici, a seguito del Diabetes
Control and Complications Trial (DCCT)
e dello United Kingdom Prospective
Diabetes Study (UKPDS).
Entrambi questi studi hanno uniformemente
dimostrato che un buon controllo glicemico
può prevenire l'insorgenza
(tipo 1) e la progressione (tipo 1
e tipo 2) della retinopatia diabetica,
suggerendo che ogni paziente affetto
da diabete dovrebbe sforzarsi di ottenere
il miglior controllo glicemico possibile.
Tuttavia, è anche importante
notare come un vasto numero di pazienti
non rientri negli obiettivi di controllo
glicemico. La HbA1c media negli Stati
Uniti d'America è superiore
all'8%, mentre il target per la prevenzione
delle complicanze è inferiore
al 7%.
Studi clinici in corso
Il
Prof. Massimo Porta, dell'Università
di Torino (Italia), ha operato una
revisione degli studi clinici in corso,
i cui risultati indicano ancora che,
nonostante un miglior controllo glicemico
e della pressione arteriosa, e la
disponibilità del trattamento
fotocoagulativo laser per i pazienti
con retinopatia diabetica a rischio
di cecità, ogni 90 minuti una
persona affetta da diabete diventa
cieca. Tuttavia, con un controllo
intensivo, i pazienti con diabete
di tipo 1 possono guadagnare 14 anni
di vita senza retinopatia diabetica
proliferante, e altri 8 anni senza
maculopatia diabetica - entrambe condizioni
che compromettono la vista.
Il Prof. Porta ha parlato
dei problemi associati ai grandi studi
sulla retinopatia diabetica, che comprendono
i metodi di rilevazione e quantificazione
delle lesioni, gli stadi d'intervento
iniziale, la scelta degli endpoint
e la durata dei trial. Non vi è
ancora consenso su quale determinazione
delle lesioni della retina costituisca
il l'indice più appropriato,
e gli studi conclusi fino ad ora hanno
coinvolto un numero di pazienti estremamente
variabile - andando da 350 (studio
EUCLID [European Controlled Trial
of Lisinopril in Insulin-dependent
Diabetes], che testa il lisinopril
nella progressione della retinopatia)
a più di 3800 (l'UKPDS, che
valuta gli effetti del controllo glicemico
e della pressione arteriosa nei soggetti
con diabete di tipo 2). Fino ad ora,
il controllo della glicemia e dei
valori pressori costituiscono le migliori
strategie evidence-based nella prevenzione
della retinopatia diabetica. La fotocoagulazione
laser può ridurre il rischio
di cecità, a seguito dello
sviluppo di retinopatia proliferativa,
dal 50% a meno del 2% in 5 anni, se
la procedura viene effettuata in maniera
tempestiva.
E' scontata la necessità
di ulteriori studi in questo campo,
perché i trattamenti disponibili
non risolvono la retinopatia, possono
provocare temporanei peggioramenti
e possono avere effetti collaterali.
La fotocoagulazione laser è
per sua natura un trattamento distruttivo,
non può restituire la vista
persa, e non se ne conosce il meccanismo
d'azione.
Vasti studi clinici
in doppio cieco controllati con placebo
sono in corso per verificare piccoli
studi precedenti, i quali suggerivano
che l'inibizione dell'asse GH-IGF1,
nei pazienti con retinopatia diabetica
stabilizzata non proliferante e proliferante
iniziale, potrebbe produrre una regressione
della patologia. Questi studi sono
in corso sia in Europa sia negli Stati
Uniti, e il reclutamento si è
concluso. L'endpoint dello studio
è il lasso di tempo necessario
prima del trattamento laser, e i risultati
dovrebbero essere disponibili entro
i prossimi 2 anni.
Un altro studio sta
valutando gli effetti delle statine
(farmaci ipolipemizzanti) sulla retinopatia
diabetica. Nel trial Early Treatment
Diabetic Retinopathy Study (EDTRS)
si sta utilizzando la fotografia del
fundus su 7 campi per valutare l'incidenza
e la progressione dell'edema maculare
e della retinopatia diabetica in oltre
500 pazienti trattati con atorvastatina
o placebo. Questo trial, che fa parte
dello studio più generale denominato
Atorvastatin Study for Prevention
of Coronary Endpoints in NIDDM (ASPEN),
sta tentando di valutare l'efficacia
pratica delle statine basandosi sui
risultati ottenuti in vitro e in vivo,
che indicano un effetto endoteliotropico
e antinfiammatorio di tale classe
di farmaci.
Lo studio EUCLID aveva
dimostrato, in un gruppo di pazienti
normotesi e normoalbuminurici, efficacia
nella prevenzione della progressione
del 50% delle forme di retinopatia
stabilizzata, e una prevenzione dell'80%
nei confronti della progressione verso
la retinopatia diabetica proliferante.
Poiché non erano mancate le
critiche a proposito del disegno dello
studio, della valutazione delle lesioni,
della durata, della significatività
e dell'analisi degli endpoint, è
stato recentemente intrapreso un nuovo
trial utilizzando il candesartan cilexetil,
antagonista del recettore 1 dell'angiotensina.
Questo studio comprende 3 gruppi di
pazienti con diversi tipi di malattia
e di compenso. Ogni braccio di trattamento
comprenderà più di 1200
pazienti, e il reclutamento di questo
studio multicentrico sta procedendo
bene.
Un altro studio è
l'Action in Diabetes and Vascular
Disease (ADVANCE) study, su pazienti
affetti da diabete di tipo 2. Con
un disegno dello studio 2 x 2, i pazienti
sono trattati con una bassa dose fissa
di una combinazione di perindopril-indapamide
vs placebo, e con gliclazide per ottenere
obiettivi di trattamento convenzionale
o intensivo. Sono stati arruolati
approssimativamente 10.000 pazienti
per valutare, come indici di outcome
primari, incidenza e progressione
della retinopatia diabetica.
Inibizione della PKC
A causa della mancanza relativa di
trattamenti approvati per la retinopatia
diabetica, la presentazione di Lloyd
P. Aiello, MD (Joslin Diabetes Center
and Harvard Medical School, Boston,
Massachusetts, USA) sull'inibizione
della PKC era attesa con ansia. Basandosi
sui risultati sperimentali ottenuti
presso il laboratorio di George L.
King, MD, presidente della sessione
(Joslin Diabetes Center and Harvard
Medical School), che hanno identificato
come sia l'isoforma beta della protein-kinasi
C ad essere essenzialmente coinvolta
nella patogenesi del danno microvascolare
diabetico, sono stati iniziati diversi
trial clinici dopo che un inibitore
specifico della PKC-beta orale ha
dimostrato efficacia nei confronti
di parametri sperimentali quali la
permeabilità retinica e l'angiogenesi.
Il Dott. Aiello ha sottolineato il
razionale dello studio tramite una
review degli studi sperimentali in
vitro e in vivo, che comprendono risultati
ottenuti su animali transgenici con
inattivazione o sovraespressione della
PKC-beta. Studi di fase 1/B hanno
dimostrato la sicurezza e la tollerabilità
del ruboxistaurina (l'inibitore della
PKC precedentemente noto come LY 333531).
E' recentemente terminato
lo studio Protein Kinase C Diabetic
Retinopathy Study (PKC-DRS). È
uno studio multicentrico di fase 2/3
randomizzato, multidose (3 dosi a
confronto con placebo). Obiettivo
dello studio era rallentare la progressione
della retinopatia diabetica non proliferante
(RDNP) o la perdita della vista, comprendendo
casi di RDNP da moderata a severa
non trattati in precedenza per una
retinopatia proliferante. Gli occhi
sono stati analizzati a cadenza trimestrale,
acquisendo fotografie retiniche ogni
6 mesi per un follow-up minimo di
36 mesi. Dei 617 pazienti arruolati,
252 sono stati assegnati al gruppo
placebo. Il gruppo trattato assumeva
8, 16, o 32 mg di ruboxistaurina.
L'endpoint primario era la progressione
della retinopatia o la fotocoagulazione
laser. Nonostante lo studio non abbia
potuto dimostrare alcun effetto significativo
su questi endpoint primari, si è
osservata una riduzione del 32% del
rischio (p=0,029) di perdita visiva
moderata nei pazienti trattati con
32 mg di ruboxistaurina, rispetto
al placebo. Nei pazienti che assumevano
la massima dose di ruboxistaurina
si è osservata anche la tendenza
verso una riduzione di perdita visiva
moderata persistente oltre 6 mesi.
I pazienti con un grado di retinopatia
peggiore all'inizio dello studio (livello
RD=53) hanno ottenuto un beneficio
maggiore dal dosaggio più elevato,
rispetto ai pazienti con una retinopatia
meno severa (livello RD=47). Anche
i pazienti con un grado di maculopatia
edematosa diabetica più severo
all'ingresso hanno ottenuto un beneficio
maggiore dal trattamento ad alte dosi
con ruboxistaurina, in termini di
perdita visiva moderata persistente.
Riepilogando, nonostante
lo studio non abbia raggiunto un risultato
statisticamente significativo in termini
di endpoint primari (progressione
della RD o trattamento fotocoagulativo
focale), ha dimostrato la tendenza
verso un effetto positivo sulla perdita
visiva moderata. I risultati iniziali
del trial clinico suggeriscono pertanto
che gli inibitori della PKC sono sicuri
e possono essere ben tollerati negli
esseri umani, potendo esercitare un
effetto positivo nella prevenzione
della perdita del visus nella retinopatia
diabetica. La reale efficacia dell'inibitore
della PKC, nonché i pazienti
responsivi al trattamento, dovranno
comunque essere chiariti da successivi
studi clinici.
I risultati del più
vasto studio Protein Kinase C Diabetic
Macular Edema Study (PKC-DMES) saranno
presentati al congresso di Parigi
dell'International Diabetes Federation,
alla fine del prossimo agosto. In
questo studio, 686 soggetti sono stati
randomizzati al trattamento fino a
32 mg di ruboxistaurina con un follow-up
minimo di 30 mesi, per rallentare
o annullare la progressione dell'edema
maculare diabetico in pazienti con
RDNP da lieve a moderata, senza precedente
trattamento laser.
Il ruolo dell'aldoso reduttasi
Il Dott. Peter F. Kador (National
Eye Institute, National Institutes
of Health, Bethesda, Maryland), in
una panoramica conclusiva, ha riassunto
i dati sul ruolo dell'aldoso reduttasi
nella patogenesi della retinopatia
diabetica. Questo meccanismo è
stato oggetto di discussione per molti
anni, portando a uno studio clinico
con un inibitore dell'aldoso reduttasi
effettuato all'inizio degli anni '90.
I risultati furono tuttavia deludenti.
Nuove scoperte riguardanti il ruolo
di polimorfismi genetici del gene
dell'aldoso reduttasi nel rischio
di retinopatia diabetica, e i progressi
nella comprensione dell'inibizione
chimica dell'attività dell'aldoso
reduttasi, hanno incoraggiato nuovi
studi sulle potenzialità dell'inibizione
della via enzimatica come trattamento
delle complicanze microvascolari diabetiche,
compresa la retinopatia.
Il ruolo
dello stress ossidativo
In una sessione sul ruolo dello stress
ossidativo nella patogenesi del danno
vascolare diabetico[2],
quattro relatori hanno compiuto una
retrospettiva sulle conoscenze attuali
in questo campo, concentrandosi specificamente
sulla poliADP riboso polimerasi (Csaba
Szabo, MD), sullo stress ossidativo
nella neuropatia diabetica (Irina
Obrosova, MD), sullo stress ossidativo
e i meccanismi associati nella retinopatia
(Hans-Peter Hammes, MD) e sullo stress
ossidativo e la formazione degli AGE
nella nefropatia diabetica (Toshio
Miyata, MD).
Inel relativo simposio
si è commentata la discrepanza
tra la forte evidenza dei dati ottenuti
in vitro e in modelli sperimentali
preclinici sull'impatto dello stress
ossidativo nelle modificazioni biochimiche
e biologiche cellulari nel tessuto
diabetico e l'insuccesso degli studi
clinici effettuati con antiossidanti
nel migliorare la patologia vascolare
diabetica. Tutti i relatori hanno
sottolineato la necessità di
comprendere quali siano le risposte
biologiche dello stress ossidativo
tessuto-specifico, e l'incapacità
degli antiossidanti attuali a esercitare
un effetto significativo.
Presentazioni poster
Tra i risultati presentati durante
la sessione poster, sono stati selezionati
i seguenti:
Inibizione della PARP
Il gruppo di Timothy Kern (Cleveland,
Ohio) ha presentato dati sperimentali
sull'utilizzo di inibitori della poli
(ADP-riboso) polimerasi 1 (PARP)[3],
coinvolta nel danno delle cellule
endoteliali. Sono stati utilizzati
gruppi di ratti diabetici con durata
di malattia compresa tra 2 settimane
e 2 mesi, con o senza trattamento
con l'inibitore specifico della PARP
PJ34, valutando l'elettroretinogramma,
l'espressione della molecola di adesione
ICAM-1 e indici di adesione leucocitaria
e di morte di cellule capillari. Gli
esperimenti in vitro a breve termine
hanno rivelato un'inibizione significativa
da parte dell'inibitore della PARP
della morte cellulare indotta dall'iperglicemia.
L'attività della PARP era aumentata
nella retina diabetica, in particolare
nelle cellule endoteliali e nei periciti.
Il PJ34 ha inibito la sovraespressione
delle ICAM-1, le anomalie funzionali
retiniche indotte dal diabete e la
stasi leucocitaria nei vasi retinici.
Tali dati suggeriscono un ruolo promettente
degli inibitori della PARP, potendo
correggere diverse importanti vie
fisiopatologiche associate al danno
capillare nella retina diabetica.
Attivazione della isoforma PKC-beta2
e modificazioni retiniche
Il Dott. George King e coll.[4]
hanno analizzato topi con sovraespressione
dell'isoforma PKC-beta2, che si ritiene
svolga un ruolo importante nello sviluppo
della retinopatia diabetica, sotto
il controllo del promoter vascolare-specifico
preproET-1. Il transgene era espresso
abbondantemente nelle cellule endoteliali.
Come conseguenza, il tempo medio di
circolo, prolungato di circa il 40%
negli animali diabetici wild-type,
era prolungato del doppio (84%), potendo
essere completamente normalizzato
mediante la somministrazione dell'inibitore
della PKC-beta2 ruboxistaurina. Sono
stati osservati spandimenti venosi
e lesioni aneurismatiche nel 40% dei
topi transgenici non diabetici in
tutti i distretti vascolari della
retina (arteriole, venule, capillari).
I topi transgenici diabetici dimostravano
un fenotipo di retinopatia accelerata,
mentre i topi diabetici wild-type
non sviluppavano tali lesioni per
un periodo di 6 mesi dalla comparsa
del diabete. Tali osservazioni ipotizzano
un importante ruolo dell'attivazione
della PKC-beta2 nello
sviluppo delle modificazioni precoci
della retina nel soggetto diabetico.
Retinopatia clinica
Si ritiene comunemente che ogni soggetto
affetto da molto tempo da diabete
mellito di tipo 1 sviluppi un certo
grado di patologia microvascolare
o macrovascolare con il passare degli
anni. Questa opinione è stata
oggetto di analisi prendendo in considerazione
un gruppo unico - i vincitori della
Joslin Diabetes Center 50-Year Medal,
un premio consegnato ai pazienti affetti
da diabete di tipo 1 da 50 anni. È
stato inviato un questionario a 504
soggetti che avevano ricevuto la medaglia,
e 322 hanno risposto[5].
L'età media del gruppo era
di 69±8 anni, la durata del
diabete di 57±7 anni, e il
63% erano di sesso femminile. Solamente
il 9% di questi pazienti di lungo
corso riferivano nefropatia, mentre
il 42% sosteneva di essere cardiopatico.
Il 39% dei pazienti era stato sottoposto
a trattamento laser, e il 16% a intervento
per cataratta. Come indice di raggruppamento,
i pazienti che riferivano la presenza
di retinopatia avevano una probabilità
di 1,6 volte superiore di avere una
patologia cardiovascolare, e di 2,2
volte superiore di nefropatia.
È importante
notare come il 28% dei soggetti si
sia dichiarato completamente esente
da complicanze. Queste persone avevano
una probabilità di 2,7 volte
superiore di riferire un eccellente
compenso glicemico, rispetto a un
compenso meno buono. Nonostante ciò,
il 78% dei pazienti liberi da complicanze
non riferivano un controllo eccellente.
Tali dati riguardanti
pazienti affetti da diabete di tipo
1 da lungo tempo indicano che coloro
che non sono affetti da nefropatia
hanno la maggior probabilità
di sopravvivenza a lungo termine,
e che la sopravvivenza senza complicanze
si associa spesso a un compenso glicemico
non eccellente, il ché implica
l'importanza di una costellazione
di fattori genetici protettivi.
Bibliografia
di riferimento
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Program and abstracts of the 63rd
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Program and abstracts of the 63rd
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Goddard
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Sessions of the American Diabetes
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