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Diagnosi
Nella pratica clinica è importante
disporre di un metodo agevole per porre diagnosi
di insulino-resistenza, al fine di anticipare
gli interventi volti a ridurre le complicanze
cardiovascolari; il clamp euglicemico iperinsulinemico,
gold standard nella ricerca clinica, non può
essere utilizzato a questo scopo. L'algoritmo
IRIS II [1], che determina uno score di
insulino-resistenza sulla base di BMI, glicemia,
trigliceridemia a digiuno e livelli di colesterolo
HDL, è stato valutato su 4265 soggetti
affetti da diabete di tipo 2. I risultati
hanno rilevato una buona correlazione con
altri modelli di valutazione di insulino-resistenza
(come l'HOMA) in termini di predittività
di complicanze vascolari. Il breath test
con 13C-glucosio, che richiede campioni
respiratori basali e a 90 minuti, valutato
su 26 soggetti [2], ha fornito risultati
migliori rispetto all'HOMA nel confronto
con il clamp euglicemico iperinsulinemico.
Rischio cardiovascolare
Desta sempre maggior interesse la valutazione
del rischio cardiovascolare nello stato
di insulino-resistenza che precede la comparsa
di iperglicemia conclamata. Il Dott. Steven
Haffner (San Antonio, Texas, USA) ha riassunto
i dati in suo possesso [3]. Tra i soggetti
pre-diabetici, quelli affetti da maggior
insulino-resistenza presentano, a parità
di glicemia, un numero maggiore di fattori
di rischio cardiovascolare (ad es. ipertrigliceridemia,
bassi livelli di HDL-C). Ha presentato,
inoltre, i risultati di un lavoro in corso
di pubblicazione (Insulin Resistance and
Atherosclerosis Study), che dimostrano come
i soggetti pre-diabetici insulino-resistenti
presentino livelli più elevati di
marker d'infiammazione subclinica, come
l'inibitore dell'attivatore del plasminogeno-1
(PAI-1) e la proteina C-reattiva (PCR).
Anche in uno studio tedesco, condotto su
592 soggetti ad elevato rischio macrovascolare
seguiti per 5 anni (il 53,2% dei quali diabetico),
la PCR è risultata il fattore predittivo
di rischio di mortalità più
importante [4], mentre in uno studio di
popolazione svedese condotto su soggetti
settantenni si è rilevato come la
proinsulina, in quanto indice di insulino-resistenza,
rappresenti un fattore predittivo indipendente
di patologia cardiovascolare [5]. I risultati
di un'analisi prospettica multicentrica
europea, che ha valutato 5356 donne e 6156
uomini non affetti da diabete (età
compresa tra 30 e 89 anni), indicano una
prevalenza di sindrome metabolica del 15,7%
tra gli uomini e del 14,2% tra le donne
[6]. La presenza della sindrome ha conferito
un rischio di mortalità complessiva
per tutte le cause di 2,03 tra gli uomini
e di 2,48 tra le donne, rispetto ai soggetti
che ne sono privi, dopo aggiustamento per
i fattori confondenti. I risultati di uno
studio ucraino, infine, indicano come la
sindrome metabolica (basata sulla presenza
contemporanea di almeno 3 criteri dell'ATP-III)
sia presente nel 49,2% dei soggetti affetti
da coronaropatia nota (confermata coronarograficamente),
e nel 23,7% dei soggetti senza coronaropatie
[7].
Adiponectina
L'adiponectina, una proteina simil-collagenica
prodotta esclusivamente dal tessuto adiposo
differenziato [8], è ridotta in diverse
condizioni di insulino-resistenza, quali
il diabete di tipo 2, l'obesità e
le dislipidemie [9,10]. È stato pertanto
ipotizzato che l'adiponectina possieda proprietà
insulino-sensibilizzanti, e che livelli
aumentati di essa abbiano un effetto di
cardioprotezione [11]. Sono quindi allo
studio interventi volti ad aumentarne i
livelli circolanti. In uno studio giapponese
è stata individuata una correlazione
negativa con l'intervallo QT corretto per
la frequenza cardiaca (QTc), all'ECG, che
è considerato un marker di aterosclerosi
subclinica, di mortalità cardiovascolare
e un parametro correlato allo spessore intimale
carotideo [12]. In un altro studio, gli
autori hanno rilevato un importante aumento
dei livelli di adiponectina successivamente
a calo ponderale ottenuto con bendaggio
gastrico [13].
Glitazoni
In attesa di dati sugli effetti dei tiazolidinedioni
(TZD) sugli outcome cardiovascolari principali,
diversi lavori presentati al convegno hanno
dimostrato effetti positivi dei farmaci
di questa classe sui marker surrogati.
Si è osservato che Il pioglitazone
aumenta di tre volte i livelli di adiponectina,
riducendo il contenuto adiposo epatico [14],
mentre il rosiglitazone è stato descritto
aumentare i livelli di adiponectina e ridurre,
nel diabete di tipo 2, i livelli di acidi
grassi liberi circolanti (FFA) e di PAI-1
[15]. In un vasto studio multicentrico europeo,
il pioglitazone avrebbe inoltre dimostrato
un effetto favorevole aumentando le dimensioni
delle LDL [16].
Uno studio americano ha rilevato, in uno
studio che ha coinvolto 51 soggetti, una
riduzione precoce e duratura dei livelli
di PCR e un effetto positivo su quelli di
omocisteina determinato dal rosiglitazone,
indipendentemente dal compenso glicemico
[17]. Un altro studio, giapponese, ha dimostrato
similmente effetti positivi determinati
dal pioglitazone su PCR e adiponectina,
indipendenti dalla riduzione dell'HbA1c
[18].
Ricercatori di Los Angeles, inoltre, hanno
rilevato la riduzione di incidenza di diabete
di tipo 2 in una popolazione ad elevato
rischio di svilupparlo, affetta precedentemente
da diabete gestazionale, mediante impiego
della molecola capostipite, il troglitazone
[19]. L'effetto sarebbe determinato da un
ruolo protettivo durevole sulla funzione
beta-cellulare.
Infine, il Dott. David Bell (Birmingham,
Alabama, USA) ha presentato i risultati
di un follow-up a 5 anni di diabetici in
terapia di associazione con glitazoni dopo
fallimento con metformina e sulfoniluree
[20], nel quale il 63% dei pazienti ha potuto
raggiungere un buon compenso glicemico (HbA1C
= 7,1±0,4%), con un incremento dei
livelli di c-peptide dopo stimolo.
Altri trattamenti
L'utilizzo di fenofibrato (agonista dei
recettori PPAR-alfa) consentirebbe, anch'esso,
la riduzione dei livelli di PCR, fibrinogeno
e acido urico, indipendentemente dalla presenza
o meno di diabete; la molecola potrebbe
svolgere un effetto positivo sulla resistenza
insulinica, specie nei pazienti dislipidemici
[21]. L'aggiunta di ezetimibe ad un trattamento
con statine consentirebbe una riduzione
ulteriore dei livelli di colesterolo LDL
in pazienti affetti da sindrome metabolica
[22].
Uno studio bulgaro ha rilevato una correlazione
positiva tra consumo di grassi animali e
sviluppo di diabete di tipo 2 [23], mentre
colleghi italiani hanno documentato gli
effetti protettivi dell'assunzione di una
moderata quantità di alcolici sui
livelli di FFA e sull'insulino-sensibilità
[24].
Sviluppi futuri
Molte sono le molecole in via di sviluppo
apparentemente promettenti nel trattamento
dell'insulino-resistenza e, di conseguenza,
della patologia cardiovascolare. Quelle
in fase più avanzata sono gli agonisti
sia dei recettori alfa, sia di quelli gamma
dei PPAR. Il tesaglitazar, valutato su 390
soggetti insulino-resistenti non diabetici
per un periodo di 12 settimane, ha determinato
una riduzione dose-dipendente dei livelli
di trigliceridi, colesterolo totale e FFA,
così come di quelli di insulinemia
e glicemia basali, aumentando nel 79% dei
casi le dimensioni delle HDL e delle LDL
[25].
Sono stati infine presentati dal Dott.
Jim McCormack nuovi farmaci in fase di sviluppo
che contrasterebbero l'insulino-resistenza
più "a valle", quali gli
attivatori diretti della tirosina kinasi,
gli inibitori della proteina tirosina fosfatasi
1 B e gli inibitori della 11 beta-idrossisteroridodeidrogenasi
1 [26].
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