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SIMPOSI SATELLITE
AMDcomunicAzione, in collaborazione con GlaxoSmithKline - Rosiglitazone e sicurezza cardiovascolare: fatti, dati e opinioni
La pubblicazione della metanalisi di Nissen e coll. dello scorso 21 maggio (N Engl J Med) ha avuto, per la comunità diabetologica in generale, il significato di una vera è propria doccia fredda: è possibile che il rosiglitazone, uno dei due glitazoni in commercio da anni nel mondo, si associ a un significativo aumento del rischio d’infarto miocardico acuto (IMA) e di morte cardiovascolare?
AMDcomunicAzione, struttura delegata a progettare e sviluppare un sistema di comunicazione/informazione rivolto ai Soci AMD (e non solo), ha avvertito immediatamente la responsabilità di dover affrontare e dare vasto spazio all’argomento, e alla discussione che ne sarebbe seguita. Il XVI Congresso Nazionale di AMD ha fornito l’occasione per fare il punto della situazione, analizzando le ragioni scientifiche e metodologiche del problema e dando la possibilità all’azienda produttrice di esprimere il proprio punto di vista.
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L. Monge |
Il simposio, moderato da Giorgio Grassi (responsabile di Thesaurus-AMD; Torino), è iniziato con la relazione di Luca Monge (direttore di AMDcomunicAzione; Torino) sul “vissuto del diabetologo”: un’analisi relativa a fatti, dati e opinioni circa la sicurezza cardiovascolare del rosiglitazone dal punto di vista del diabetologo “comune” e che contemporaneamente lavora per la comunicazione. La presentazione è iniziata con l’algoritmo di consenso di D.M. Nahan e coll. (Diab Care 2006), che riprendeva i dati disponibili sull’approccio terapeutico all’iperglicemia; l’articolo argomentava la buona efficacia del rosiglitazone anche come farmaco di prima linea, riprendendo dati di studi quali l’ADOPT (A Diabetes Outcome Progression Trial).
Monge ha descritto quindi l’arrivo della mail-alert del New England Journal of Medicine, il 21 maggio 2007, come un evento inatteso e dall’apparenza innocente, eppure destinato a sollevare grosse discussioni. L’articolo di Steven E. Nissen e Kathy Wolski sugli effetti cardiovascolari della molecola si presentava come una pubblicazione on-line first, vale a dire ritenuta di rilievo tale da essere diffusa dalla prestigiosa testata con priorità assoluta e in full-text gratuito. Il lavoro presentava una metanalisi di 42 studi randomizzati e controllati (RCT) della durata >24 settimane, nei quali vi era stato un gruppo di controllo che non aveva ricevuto il rosiglitazone. L’esposizione degli autori documentava l’aumento del rischio di IMA (OR 1,43; IC 95% 1,03-1,98; p=0,03) e di decessi cardiovascolari (OR 1,64; IC 95% 0,98-2,74; p=0,06) associato al glitazone, che raggiungeva la significatività statistica per il primo evento e la sfiorava per il secondo. Mezz’ora dopo, tramite la rete, la discussione era partita. Tutti gli addetti ai lavori sanno bene come le metanalisi occupino una posizione di vertice, nella piramide delle evidenze; quella del celebre autore di Cleveland derivava, in particolare, dall’analisi di due studi di grosse dimensioni (il DREAM e l’ADOPT), e da un pool di diversi studi più piccoli.
La metanalisi di Nissen
Punti di forza |
Inclusione di studi non pubblicati |
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Utilizzo, come endpoint primario, degli eventi CV |
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Utilizzo di studi in cui rosiglitazone era confrontato vs. placebo |
Limiti |
Molti studi della metanalisi non erano finalizzati a studiare outcome CV |
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Bassa qualità di alcuni studi |
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Breve durata e ridotto campione di molti studi |
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Basso numero di eventi CV e di decessi |
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Mancata disponibilità delle fonti originarie per tutti i trial |
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Intervalli di confidenza ampi |
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CV: cardiovascolari
Elementi importanti di valutazione sarebbero stati aggiunti dall’analisi dello studio RECORD (Rosiglitazone Evaluated for Cardiac Outcomes and Regulation of Glycaemia in Diabetes), ancora in corso, insieme ai pareri delle Agenzie regolatorie e del produttore. Le 48 ore successive hanno registrato il susseguirsi di numerosi comunicati, pronunciamenti e risposte dalle parti interessate, che andavano dal disappunto della GSK (che lamentava come la metanalisi si basasse su evidenze incomplete e avesse importanti limiti metodologici) all’invito alla prudenza, ma anche a evitare di generare immotivato panico, da parte di numerose società e riviste scientifiche.
A distanza di 2 settimane, in effetti, il New England Journal of Medicine pubblicava un’analisi ad interim non pianificata del RECORD (trial randomizzato in aperto, multicentrico), che risultava già all’analisi dell’FDA. Il potere statistico della valutazione era limitato dalla durata del follow-up (più breve del previsto) e dal numero eccezionalmente basso di eventi cardiovascolari registrati in una popolazione ad alto rischio, forse interpretabile in base all’elevata percentuale di drop-out, a bias metodologici o a stime di previsione inadeguate. L’analisi non si rivelava conclusiva, non potendo fornire evidenze di un aumento della mortalità per cause cardiovascolari (o per tutte le altre cause) dovuto al rosiglitazone, né dati sufficienti per definire se il farmaco si associasse con un incremento del rischio di IMA. Il 18 luglio veniva pubblicata una metanalisi della Cochrane sull’efficacia del rosiglitazone nel diabete di tipo 2, nella quale non si confermavano differenze significative nell’odds ratio della molecola verso i controlli, pur evidenziandosi un aumento del rischio (non statisticamente significativo) legato al trattamento in tutti gli studi. Il 23 dello stesso mese, AMDcomunicAzione decideva di aprire un blog su www.infodiabetes.it (Figura 1) mettendo a disposizione dei lettori tutto il materiale esistente, con i pareri e le opinioni dei partecipanti. Il giorno dopo vedeva la pubblicazione degli Standard di cura AMD-SID, nei quali non si poteva non far cenno al problema.
A. Nicolucci
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Sul finire dell’estate usciva una nuova metanalisi (Singh e coll.; JAMA), per la quale erano stati selezionati solo studi che avessero dichiarato a priori l’intenzione di monitorare gli eventi cardiovascolari avversi e che avessero riportato esplicitamente i dati (durata >12 mesi, su pazienti con IGT o diabete), che confermava, seppur con ampi intervalli di confidenza, l’aumento significativo del rischio di IMA con l’uso del farmaco (senza un significativo aumento del rischio di mortalità cardiovascolare). GSK Italia emanava un nuovo comunicato, ospitato dal sito di AMD, e pochi giorni dopo veniva pubblicata una ri-metanalisi di George A Diamond e coll. (Ann Int Med), che concludeva affermando come l’incremento supposto dei rischi legato al glitazone rimanesse “incerto”. Monge ha chiuso il “diario” degli eventi relativi alla discussione di AMDcomunicAzione sul rosiglitazone richiedendo il parere di un esperto in metodologia statistica, a riguardo delle metanalisi effettuate.
E l’intervento di Antonio Nicolucci (Mario Negri Sud, Chieti) non poteva deludere le aspettative, né rivelarsi banale. La relazione si apriva ricordando alcune nozioni di base sul significato delle metanalisi, tecniche utilizzate per combinare in modo esaustivo, obiettivo, quantitativo e sistematico i risultati di studi diversi condotti su argomenti analoghi. Lo strumento consente di operare una sintesi dell’enorme mole di dati esistente, combinando in modo efficiente le evidenze scientifiche per fornire risposte attendibili e definitive sull’efficacia di un trattamento. Nicolucci ha spiegato come quella che viene effettuata non sia una mera somma aritmetica dei risultati disponibili, ma una combinazione quantitativa e pesata. La stima di efficacia viene ottenuta all’interno di ogni singolo studio, e “pesata” in funzione del numero di pazienti valutati. Solo a questo punto i risultati dei diversi studi vengono combinati con appropriate tecniche statistiche (a effetti fissi o casuali). In definitiva, nella metanalisi viene attribuito un peso più importante agli studi di maggiori dimensioni, che pertanto influenzeranno maggiormente il risultato finale rispetto agli studi più piccoli (Figura 2).
Nicolucci ha quindi esposto il concetto di “eterogeneità statistica”, e gli stratagemmi impiegati per minimizzarne la portata: come il Cochran’s Q test, nel quale si rifiuta l’ipotesi nulla che gli effetti siano uguali, e si conclude che ci sia eterogeneità, in caso di p<0,10 (invece che di p<0,05, come negli altri test, in considerazione del rischio di potenza statistica inadeguata quando esistono pochi studi su un argomento). A fronte dei grandi vantaggi precedentemente descritti, esistono ovviamente alcuni problemi che possono limitare l’applicazione delle tecniche di metanalisi, uno dei quali è senz’altro legato alla qualità degli studi inclusi. Se i singoli studi sono stati condotti con metodologie non rigorose, e sono di dubbia validità scientifica, la metanalisi non potrà ovviare a questi problemi e i risultati complessivi saranno a loro volta di difficile interpretazione. Una valutazione critica della qualità degli studi è pertanto un primo passo fondamentale, poiché l’interpretazione dei risultati di una metanalisi non può prescindere da una seria considerazione della qualità delle evidenze.
Un altro limite è legato all’eterogeneità delle informazioni riportate negli articoli scientifici, o alla mancanza di alcuni dati importanti riguardo le caratteristiche della popolazione arruolata o su altri aspetti cruciali dello studio. Per ultimo va considerata l’esistenza del cosiddetto publication bias, legato alla maggiore probabilità di pubblicazione per uno studio che sia in grado di dimostrare una differenza significativa d’efficacia rispetto a uno che non documenti alcuna differenza significativa, con la possibile sovrastima del beneficio. Per limitarne gli effetti, è necessario reperire i dati anche di studi non pubblicati. Spesso le metanalisi hanno rappresentato (e rappresentano tuttora) l’unica risorsa disponibile per far emergere eventi avversi rari, che rimarrebbero occulti con l’analisi dei singoli trial.
Nicolucci è quindi passato ad analizzare nel dettaglio la metanalisi di Nissen, unitamente alle critiche che le sono state mosse. Premettendo che il numero molto basso di decessi per cause cardiovascolari (39 vs. 22), assieme alla difficoltà di definizione di questo endpoint, precludono ogni possibilità di valutazione seria di questo parametro, il relatore ha dimostrato come la metanalisi di Nissen sia metodologicamente ineccepibile (potente e con pochi bias), con un test Q di Cochrane in grado di fornire risposte attendibili e un valore di p di gran lunga superiore al valore soglia.
Nicolucci ha quindi confrontato tale metanalisi con quelle successive, sottolineandone differenze, pregi e difetti, per concludere affermando che, pur con tutti i limiti discussi, i risultati indicano un eccesso di rischio di infarto assolutamente coerente a prescindere dal metodo statistico utilizzato, mentre nessuna conclusione può essere tratta riguardo la mortalità. L’eccesso di enfasi sugli aspetti “tecnici”, secondo Nicolucci, può invece aver distolto l’attenzione dall’interpretazione clinica dei dati statistici (rilevanza clinica). D’altra parte, i risultati emersi fino a ora possono limitare la possibilità che medici e pazienti accettino, per il futuro, di partecipare a nuovi studi mirati, impedendo di arrivare a una soluzione definitiva del problema. Forse una risposta non l’avremo mai, ma se è logico invitare le Agenzie governative a rivedere i processi di registrazione dei farmaci (che dovrebbero basarsi su studi condotti per valutare fin dall'inizio hard endpoints) e a esercitare maggior controllo sulle molecole, prima di autorizzarne la prescrizione, lo è altrettanto il fatto di riconoscere alle aziende produttrici maggiori diritti, magari a partire da un prolungamento della durata dei periodi di brevetto.
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A. Olivieri |
La parola è passata alla “difesa”, esercita da Antonio Olivieri (GSK), il quale ha analizzato i fatti secondo il punto di vista dell’Azienda ribadendo l’impegno di GSK a trasferire i fatti sulla sicurezza cardiovascolare del rosiglitazone e le proprie interpretazioni dei dati alla comunità scientifica e alle autorità regolatorie, come avvenuto nei mesi passati. Ha esordito affermando come l’attività d’informazione medico-scientifica debba ispirarsi all’art. 120 del DL 24 aprile 2007, che recita: “Tutte le informazioni…devono essere esatte, aggiornate, sufficientemente complete, per permettere al destinatario di essere adeguatamente informato sull’effetto terapeutico e sulle caratteristiche del medicinale”; atteggiamento riassumibile nell’espressione “fair balance” (Figura 3).
Olivieri ha citato, a tal proposito, come già da gennaio 2007 la brochure di presentazione delle caratteristiche del farmaco riportasse il dato del riscontro di un maggior rischio di fratture (evidenziato dallo studio ADOPT) nelle donne in menopausa, così come di scompenso cardiaco e incremento del peso. Già in un aggiornamento della scheda di riassunto delle caratteristiche del prodotto, nell’ottobre 2006, si citavano, tra gli effetti indesiderati, i risultati di un’analisi retrospettiva di studi clinici (peraltro di breve durata), nei quali emergeva un’incidenza complessiva di eventi associati a ischemia cardiaca più elevata per i regimi contenenti rosiglitazone, rispetto a quelli di confronto. Questi ultimi erano per la maggior parte relativi a placebo, mentre non emergeva alcun aumento del rischio dal confronto con altri farmaci antidiabetici. Nell’ambito della disponibilità a impegnarsi per valutare la realtà dei fatti, il relatore ha richiesto di considerare tutti i dati e le evidenze disponibili: dalle metanalisi agli studi osservazionali, per finire agli RCT (DREAM, ADOPT, RECORD, PPAR). Analizzando una sintesi delle 6 metanalisi pubblicate dal 21 maggio al 28 settembre 2007 (Figura 4), solo 2 di queste (Nissen e Singh) evidenziano un aumento del rischio di IMA, e nessuna un incremento della mortalità cardiovascolare.
Inoltre, tutti i dati degli studi epidemiologici che avevano come endpoint primario le ospedalizzazioni per IMA o per interventi di rivascolarizzazione non hanno documentato un aumento dell’incidenza di tali eventi legato ai glitazoni. Il rischio associato all’assunzione di rosiglitazone in monoterapia o in associazione, nello studio Ingenix, si è collocato a metà strada tra quello collegato all’impiego della metformina (minimo del rischio) e quello delle sulfoniluree, o dell’insulina (massimo) (Pharmacoepid Drug Safety 2007); anche l’impiego di rosiglitazone o pioglitazone in associazione all’insulina ha prodotto esiti confrontabili con quelli derivanti dall’impiego di sulfoniluree + insulina. L’Hazard Ratio per l’IMA, confrontando il rosiglitazone con altri antidiabetici orali, risultava pari a 0,92 [IC 95% 0,73-1,16]. Risultati simili sono emersi anche con lo studio TRICARE (incidenza di IMA su un periodo di 4 anni: 38/10.000 per rosiglitazone, vs. 33 per la metformina, 49 per le sulfoniluree e 52 per l’insulina). Pur trattandosi, dal punto di vista metodologico, di studi osservazionali, i dati si riferiscono a oltre 1,35 milioni di pazienti diabetici nelle reali condizioni d’impiego clinico.
Anche l’analisi degli RCT disponibili non confermerebbe un aumento statisticamente significativo del rischio di IMA, ictus e mortalità cardiovascolare. La stessa analisi ad interim dello studio RECORD (studio di fase IV della durata minima di 5 anni, di post-marketing, concordato con l’EMEA al momento della registrazione europea e avente come endpoint primario la mortalità o i ricoveri per patologie cardiovascolari) non ha confermato il rischio evidenziato dalla metanalisi di Nissen. Risultati significativi deriverebbero anche dallo studio randomizzato in doppio cieco PPAR, condotto su 200 soggetti affetti da cardiopatia ischemica nota e a rischio elevato, nel quale il rosiglitazone non si associa a un aumento degli eventi cardiovascolari; nello studio, l’incidenza di eventi complessivi è nettamente più elevata, rispetto a quella dell’ADOPT e del RECORD (occorre comunque considerare come la maggior parte dei pazienti dello studio non fosse diabetica). Complessivamente, gli RCT condotti su pazienti diabetici o con IGT non confermerebbero l’esistenza di differenze tra rosiglitazone, placebo e altri antidiabetici orali in termini di rischio d’infarto miocardico o di morte per cause cardiovascolari, mentre l’assunzione del glitazone garantirebbe una maggiore persistenza di livelli accettabili di compenso glicemico (rispetto alle sulfoniluree e alla metformina) (Figura 5).
Olivieri ha quindi riassunto i dati emersi fino a ora sottolineando come, a fronte di un “segnale” di aumento del rischio di IMA e cardiopatia ischemica (ma non di mortalità cardiovascolare), evidenziato da 2 delle 5 metanalisi pubblicate, nessuna prova sia emersa negli studi osservazionali e negli RCT, rispetto agli antidiabetici orali.
G. Grassi
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La parola è quindi tornata a Giorgio Grassi, che ha concluso il simposio con alcune considerazioni sulla posizione delle agenzie regolatorie (FDA, EMEA e AIFA). In tutti i comunicati emessi viene sottolineata l’attuale assenza di evidenze conclusive sul rischio potenziale di eventi cardiovascolari legato all’impiego del rosiglitazone, e si invita a usare prudenza sia per evitare di generare inutili allarmismi, sia perché non vi è la certezza che la sostituzione del farmaco con uno di un’altra classe approvata per il trattamento del diabete di tipo 2 possa effettivamente ridurre tale ipotetico rischio.
Negli USA, la maggior parte degli esperti (compresi quelli dell’Advisory Commitee dell’FDA) sostiene, per ora, la semplice necessità d’inserire sulla scheda tecnica del prodotto un riferimento al possibile aumento del rischio ischemico, soprattutto per i pazienti con insufficienza cardiaca e malattia cardiovascolare significativa, e per quelli in terapia con nitrati o insulina. L’FDA ha inoltre concordato con GSK la realizzazione di un nuovo studio a lungo termine espressamente disegnato per valutare il rischio cardiovascolare relativo all’impiego di rosiglitazone vs. un farmaco attivo di controllo.
Per quanto riguarda la posizione europea, occorre considerare come fin dall’autorizzazione alla commercializzazione del farmaco le note del vecchio continente risultassero più restrittive, rispetto a quelle approvate oltreoceano, escludendo dalla possibilità prescrittiva i soggetti con insufficienza cardiaca in atto o pregressa, e come alcuni studi valutati nella metanalisi di Nissen includessero pazienti che in Europa non avrebbero mai avuto indicazione al trattamento. L’EMEA, confermando il rapporto beneficio/rischio positivo dei glitazoni, invita pertanto a non impiegare il rosiglitazone in associazione con l’insulina, se non in casi eccezionali e sotto stretta sorveglianza medica; tale raccomandazione, peraltro, supera la controindicazione assoluta espressa precedentemente (Figura 6).
Grassi ha concluso il simposio riproponendo l’algoritmo iniziale per il trattamento del diabete proposto da ADA e EASD (Figura 7), e sottolineando come la migliore strategia debba probabilmente partire dalla corretta identificazione dei soggetti che possono realmente beneficiare del trattamento con rosiglitazone (es. pazienti con breve durata di malattia diabetica), proseguendo al contempo, soprattutto per le categorie a rischio, i programmi di sorveglianza.
Tutte le risorse e le fonti disponibili sul blog di www.infodiabetes.it.
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